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BUDDHISMO THERAVADA: IL MONACHESIMO DELLA FORESTA DEL VENERABILE AJAHN CHAH
Questo scritto nasce con l’intento di inserirsi, senza pretesa di emulazione, tra le pieghe del corso sulla Storia della Meditazione del ‘900 (1945 -1975) tenuto da Maciej Bielawski per i soci di Meditatio nel giugno 2022. L’ampiezza della materia da trattare, per ammissione dello stesso Maciej, richiederebbe più vite, dovendosi egli perciò limitare a fornire delle coordinate di massima grazie alle quali ognuno può provare a viaggiare individualmente. |
Partendo da lì, e da un invito rivoltomi di cui non farò cenno qui per ora, ho pensato di fare un po' di sintesi, una sistemazione mi auguro ordinata di un filone molto rilevante nell’immenso ginepraio delle tradizioni spirituali e un focus su una figura di notevole spessore anche se forse meno decantata rispetto ad altri maestri o guide spirituali.
Ajahn Chan e la tradizione Theravada creano, a mio avviso, un ponte tra Oriente e Occidente in maniera discreta e sommessa, una connessione direi quasi impercettibile, a mio avviso, con un’altra tradizione che, guarda caso, è anch’essa stata a lungo negletta, confinata com’era ai margini della spiritualità occidentale. Non riesco a non associare la ricerca di semplicità e di essenzialità, il desiderio di studio e pratica dei monaci della foresta thailandese alla aspirazione al nascondimento, al silenzio, alla frugalità dei padri del deserto, le cui tracce a volte si perdono nell’anonimato in favore di testi carichi di insegnamenti sopravvissuti al tempo e alle manipolazioni. Per ragioni di sinteticità, mi avvarrò qui di qualche stralcio tratto dal web, rinviando per una lettura integrale al sito di riferimento citato.
La tradizione Theravada è uno dei tanti lignaggi presenti nell’ambito del Buddhismo, con vocazione ad una difficile purezza, ispirandosi essa al Canone Pali ritenuto il più antico canone di testi buddhisti nel quale sarebbero raccolti gli insegnamenti originali e le regole monastiche trasmessi direttamente dal Buddha.
“La tradizione della foresta è il ramo del buddhismo Theravada in Thailandia che si attiene più strettamente alle regole monastiche originali, così come stabilite dal Buddha. Inoltre, questa tradizione, enfatizza molto la pratica della meditazione e il raggiungimento dell’illuminazione come ragione della vita monastica. I monasteri della foresta sono principalmente orientati alla pratica del sentiero buddhista: la contemplazione della visione profonda. Questo comprende una vita di disciplina, rinuncia e meditazione, volta ad ottenere una pace e una verità interiore, così com’è stato insegnato dal Buddha. Vivere una vita di austerità consente alla comunità monastica della foresta di semplificare e affinare la mente”. (tratto dal sito https://santacittarama.org/2019/02/20/la-tradizione-della-foresta-in-thailandia/)
I monaci Theravada vivono solitamente a stretto contatto con le comunità laiche, fondando monasteri laddove i laici ne fanno richiesta e realizzando con essi un virtuoso scambio: la comunità fornisce assistenza materiale ai monaci e i monaci restituiscono “cibo” spirituale, insegnamenti e pratica a presidio delle insidie della vita mondana.
Nella seconda metà del XIX secolo, la tradizione thailandese risultava, non dissimilmente da altre tradizioni, un po' annacquata e spenta. Fu proprio allora che, grazie alla tenacia di alcuni monaci, si intraprese un cammino di riscoperta e di rivalutazione di questo filone che si voleva preservare da una imminente e definitiva scomparsa.
“A metà del 19º secolo il buddhismo in Thailandia era diventato diffusamente corrotto e la disciplina monastica era degenerata, gli insegnamenti deviavano dai testi originali, c’era poca enfasi sulla meditazione e aveva spazio un’ampia convinzione che gli obiettivi spirituali non fossero più raggiungibili. Mentre questa tradizione stava svanendo, alcuni praticanti buddhisti, ben determinati, tornarono ai principi fondamentali della vita della foresta: disciplina morale e meditazione, per trovare il sentiero verso l’illuminazione, così com’era stato insegnato dal Buddha. La determinazione spirituale e i risultati raggiunti da questi praticanti, rivitalizzarono la tradizione contemporanea della foresta nel nord-est della Thailandia. Il nord-est era uno dei più remoti e poveri territori della Thailandia, conosciuto per la sua terra inospitale e per il buonumore della sua gente. Ed ora anche per i suoi saggi Maestri di meditazione” (fonte cit.)
Nella parte più inospitale e povera della Thailandia qualcosa si muoveva e rifioriva: il monaco Ajhan Mun (1870 - 1949), allievo del monaco della foresta Ajahn Sao (1859 – 1942 https://buddho.org/about-the-author/ajahn-sao/), divenne un grande monaco errante, maestro ed esempio eccellente cui poterono ispirarsi tutti i successivi e più grandi maestri della tradizione thailandese contemporanea. Tra questi Ajahn Chah (17 giugno 1918 – 16 gennaio 1992, provincia di Ubon - Thailandia), al cui insegnamento dedichiamo questo scritto, primo di altri che verranno.
Ajahn Chah
“La Tradizione Thailandese della Foresta non sarebbe così com’è oggi se non vi fosse stato l’influsso di un grande maestro in particolare. Si tratta del venerabile Ajahn Mun Bhuridatta. Nacque nel 1870 nella provincia di Ubon, dove la Thailandia s’incontra con il Laos e la Cambogia. Allora era, e lo è ancora, una delle zone più povere del paese … Ajahn Mun era un giovane di mente vivace … Subito dopo l’ordinazione a bhikkhu, cercò il Venerabile Ajahn Sao, uno dei rari monaci della foresta del luogo, e gli chiese di insegnargli la meditazione … Se oggi, dal nostro punto di vista, entrambi tali elementi – disciplina rigorosa e meditazione – potrebbero sembrare scontati, allora la disciplina era diventata piuttosto trasandata in tutta la regione e la meditazione era considerata con grande sospetto”.
“Col tempo Ajahn Mun riuscì a spiegare con successo e a dimostrare l’utilità della meditazione a molte persone, e divenne anche un esempio di un più alto standard di vita per la comunità monastica. Inoltre, a dispetto del fatto che vivesse in luoghi remoti, egli divenne il più considerato maestro spirituale della Thailandia. Quasi tutti i più esperti e venerati maestri di meditazione thailandesi del XX secolo furono o suoi diretti discepoli o ne subirono profondamente l’influsso. Tra essi, Ajahn Chah”. (Tratto da Un’introduzione alla vita e agli insegnamenti di Ajahn Chah, di Ajahn Amaro, pag. 25 , disponibile in e-book al link https://santacittarama.org/wpcontent/uploads/2021/04/Aj_Amaro_Introduzione-Aj-Chah_desktop.pdf)
Una pace incrollabile
“Ajahn Chah nacque in una famiglia grande ed agiata, in un villaggio della Thailandia nord-orientale. Dietro sua stessa iniziativa, alla tenera età di nove anni scelse di lasciare la casa paterna ed andò a vivere nel monastero del luogo. Fu ordinato novizio e, sentendo il richiamo della vita religiosa, a vent’anni ricevette l’ordinazione completa. In quanto giovane bhikkhu, studiò i fondamenti del Dhamma, la disciplina e altre scritture. In seguito, insoddisfatto del rilassato standard di vita nel tempio del suo villaggio e desiderando di essere guidato nella meditazione, abbandonò questi luoghi piuttosto sicuri e intraprese la vita del bhikkhu errante (tudong). Cercò vari maestri locali di meditazione e praticò sotto la loro guida. Peregrinò per un certo numero di anni come fanno i bhikkhu asceti, dormendo in foreste, caverne e luoghi di cremazione, e agli insegnamenti di Ajahn Chah trascorse un breve ma illuminate periodo con lo stesso Ajahn Mun” (Un’introduzione, cit. pag. 27).
“Nel 1954, dopo numerosi anni di spostamenti e di pratica, fu invitato a stabilirsi nella fitta foresta nei pressi del suo villaggio natale, Bahn Gor. Era un bosco disabitato, noto come luogo di cobra, tigri e fantasmi, e per questo – diceva – il posto perfetto per un bhikkhu della foresta. Allorché un numero sempre maggiore di bhikkhu, monache e laici giunse ad ascoltare i suoi insegnamenti e si fermò per praticare con Ajahn Chah, attorno a lui si costituì un grande monastero. Ora vi sono discepoli che praticano meditazione ed insegnano in più di 300 monasteri affiliati nelle montagne e nelle foreste di tutta la Thailandia e d’Occidente” (Un’introduzione, cit. pag. 32).
Il primo grande monastero fondato da Ajahn Chah in Thailandia fu il Wat Pah Pong (v. al link https://santacittarama.org/2019/08/13/la-fondazione-di-wat-pah-pong/), nel quale aleggiava lo spirito del suo fondatore ben oltre la sua morte. Attualmente i monasteri legati al suo insegnamento sono più di trecento, sparsi in Thailandia e nel resto del mondo.
Ciò che stupisce del metodo di Ajahn Chah, e che riecheggia in tutte le testimonianze di chi lo ha conosciuto, è l’estrema praticità e la capacità di andare al cuore di insegnamenti teorici di grandissimo rilievo senza appesantire il praticante, laico o monaco che fosse. Aveva lui stesso sperimentato la difficoltà e l’importanza dello studio teorico eppure aveva scelto di non stare troppo nella teoria, ma di sminuzzarla e sbriciolarla per trasmetterne l’essenza, lasciando agli studiosi il loro farraginoso mestiere. Viveva in equilibrio tra la sua natura errante e solitaria e la necessità di corrispondere al bisogno innato di pace degli innumerevoli visitatori che a lui si avvicinavano chiedendo una parola, un suggerimento, il bandolo della inestricabile matassa che li portasse dritti alla chiave del loro cuore, del senso nascosto delle loro vite. Sarcastico e caustico al tempo stesso, di presa leggera sui precetti ma severo e rigoroso nella pratica, sapeva parlare a chiunque, ma rifuggiva ogni forma di stucchevolezza o di lamentosa autocommiserazione.
“Una domanda intelligente posta da un accademico alla ricerca di discussioni filosofiche di alto livello per mostrare il suo acume, facilmente induceva Luang Por (=venerabile padre) a rimuoversi la dentiera ed a passarla all’assistente bhikkhu affinché gli desse una pulita. L’interlocutore avrebbe così dovuto superare la prova: il grande maestro rispondeva al suo profondo quesito con le ampie labbra ripiegate all’indietro, sulle gengive, prima che la dentiera, ripulita, fosse rimessa al suo posto...” (Un’introduzione, cit. pag. 15).
“Se gli si chiedeva quali fossero per lui gli elementi essenziali dell’insegnamento, spesso Ajahn Chah rispondeva che la sua esperienza gli aveva mostrato che ogni progresso spirituale dipendeva dalla Retta Visione e dalla purezza della condotta. Della Retta Visione, una volta il Buddha disse: «Non vi è fattore più utile della Retta Visione per far sorgere stati mentali benefici»” (Un’introduzione, cit. pag. 49).
“Probabilmente, fu a causa della sua profonda comprensione in quest’ambito che Ajahn Chah fu in grado di essere sia straordinariamente ortodosso e austero come monaco buddhista sia completamente rilassato e libero dalle stesse regole che osservava. A molti che lo incontrarono parve che egli fosse l’uomo più felice del mondo, forse un’ironia per un uomo che mai nella sua vita aveva provato il sesso, non aveva denaro, mai aveva ascoltato musica, era sempre a disposizione della gente da diciotto a venti ore al giorno, dormiva su una sottile stuoia, era diabetico ed affetto da varie forme di malaria, ed era deliziato dal fatto che il Wat Pah Pong fosse considerato il posto con il peggior cibo del mondo” (Un’introduzione, cit. pag. 50).
La liberazione dalla sofferenza è lo scopo ultimo della pratica. Avversione, attaccamento, ignoranza e le Quattro nobili verità sono al centro del suo insegnamento. Da dove viene tutta la sofferenza? dove è possibile trovare il rimedio? Nel piccolo scritto “Una pace incrollabile”, raccolta di discorsi pronunciati dal Venerabile, si rimarca la filosofia del maestro decisamente contraria all’esasperazione della sterile erudizione: “Non c’è nessun libro in cui vengono scritti i dettagli della nostra sofferenza. Il dolore non corrisponde alla teoria, anche se i due viaggiano insieme sulla stessa strada. Perciò la sola erudizione non può stare al passo con la realtà”.
La soluzione è la comprensione, conoscere secondo verità, unico mezzo per abbandonare e gettar via come spazzatura ogni forma di vana illusione. Riconoscere come impermanenti e privi di sé i fattori mentali, lasciarli andare, metterli da parte: “siatene consapevoli e conosceteli nel momento che sorgono”. Lo strumento per realizzare la retta comprensione è la meditazione.
“La meditazione è come un bastonino di legno. La visione profonda (vipassana) è un’estremità del bastoncino e la tranquillità (samatha) l’altra. Qual è vipassana e quale è samatha allora? Dove finisce una e comincia l’altro? tutte e due sono la mente”. (Il libro Una pace incrollabile è disponibile in pdf al link )
L’approccio fortemente basato sulla pratica viene rimarcato nel breve testo “Tutto insegna” (“Everything is teaching us”), raccolta di discorsi curata, nella originaria versione inglese, dal suo discepolo Paul Breiter, che ha dedicato buona parte della sua vita alla traduzione e sistemazione dei discorsi del maestro (Paul Breiter ha curato il ben più noto “Essere Dhamma”, edito da Ubaldini nel 2022, che raccoglie i discorsi serali tenuti da Ajahn Chah per i suoi discepoli; della stessa casa editrice sono disponibili altre due raccolte di discorsi: “Il sapore della libertà”, 1990, e “Il Dhamma vivo”, 1994).
“Ajahn Chah non preparava i suoi discorsi, né usava appunti per insegnare, né mai creò una serie di discorsi. Certe volte un singolo discorso copriva molti aspetti del sentiero. Molti insegnamenti seguivano le andature del suo flusso di coscienza (o forse un termine più appropriato sarebbe “flusso di saggezza”) e hanno qualcosa d’importante da dire in qualsiasi punto si apra il libro” (dall’introduzione di Tutto insegna).
Ajahn Chah insiste in maniera continua sulla necessità di sviluppare saggezza, imprescindibile compagna della meditazione. Spiega chiaramente che meditazione è essere costantemente, attentamente, instancabilmente attenti a tutto ciò che accade e scegliere ogni volta se agire o meno, se agire per il bene o per il male. Non c’è nulla di sbagliato nei pensieri, nemmeno in quelli più spregevoli: è solo dopo che abbiamo deciso con quale parola o azione agire che accumuliamo karma positivo o negativo. La semplicità con la quale il Venerabile snocciola gli insegnamenti più complessi della tradizione rende meno faticoso avvicinarsi alla pratica e più auspicabile credere che è possibile una liberazione.
“Il semplice avere dei pensieri non è kamma negativo. Se non avessimo nessun pensiero, come si svilupperebbe la saggezza? Alcuni vogliono solo sedersi con la mente completamente vuota. È una comprensione errata” (Tutto insegna, pag. 12).
“All’inizio, meditiamo per diventare consapevoli di quello che è sbagliato e negativo. Quando lo riconosciamo, ci rinunciamo e pratichiamo quello che è buono. Poi, quando una certa bontà è raggiunta, non restateci attaccati” (cit., pag. 16)
“È così che ha insegnato il Buddha: ha insegnato a chi era possibile insegnare. Quelli a cui era impossibile insegnare li ha lasciati perdere. Anche se non li ha esclusi, si sono esclusi da soli e così li ha abbandonati.
Forse vi fate l’idea che il Buddha mancasse di mettā abbandonando le persone. Ehi! Se buttate via un mango andato a male, mancate di mettā? È solo che non potete utilizzarlo, tutto lì. Non c’era modo di raggiungere quelle persone” (cit., pag. 26).
“Sediamo con gli occhi chiusi e questo ci avvantaggia. Quando apriamo gli occhi e lasciamo la meditazione formale, possiamo entrare in contatto con qualsiasi cosa ci capiti. Le cose non ci sfuggiranno di mano. Non ci succederà di non sapere cosa fare. Semplicemente ci occuperemo delle cose. È quando ritorniamo a sederci che sviluppiamo una maggiore saggezza” (cit., pag. 74).
Concludo questa parte segnalando ancora un testo, disponibile in pdf sul sito Santicittarama e gratuitamente scaricabile: “Insegnamenti”, un’altra lunga raccolta di discorsi di Ajahn Chah interamente dedicata alla pratica e diviso in tre sezioni (pratica quotidiana, pratica formale, pratica della rinuncia) - link https://santacittarama.org/wp-content/uploads/2019/08/insegnamenti-desktop-2018-12-16.pdf
Al seguente link è invece possibile scaricare alcuni dei più importanti discorsi del venerabile in formato audio: https://www.saddha.it/audiolibri-ajahn-chah-insegnamenti-1-10/
I monasteri Therevada
Theravada A partire dagli anni ’70 del secolo scorso, molti occidentali cominciarono a visitare il Wat Pah Pong, il monastero fondato da Ajahn Chah nel 1954 (già citato supra, con link), e a fare tesoro dei suoi discorsi e insegnamenti. Il primo occidentale ordinato monaco presso il monastero di Wat Pah fu il monaco americano Ajahn Sumedho. Nel 1975 venne fondato, proprio grazie al lavoro di quest’ultimo, a poca distanza dal primo monastero e su richiesta dei laici, un secondo monastero con la finalità di addestrare discepoli di tutte le nazionalità: sorgeva così il Wat Pa Nanachat (Monastero Internazionale della Foresta), ancora oggi centro propulsore della tradizione Theravada nel mondo.
“Nel 1976 l’associazione buddhista inglese “English Sangha Trust”, invitò Ajahn Sumedho a fondare un monastero Theravada a Londra. Con un piccolo gruppo di monaci, Ajahn Sumedho accolse questa richiesta e fondò il primo monastero nella tradizione di Ajahn Chah, fuori della Thailandia. Da quel momento, un significativo numero di monasteri della tradizione di Ajahn Chah, sono sorti in Inghilterra, Francia, Australia, Nuova Zelanda, Svizzera, Italia, Canada e Stati Uniti”.
“I monasteri vengono fondati solo quando vi è una comunità laica che lo richiede e sono sostenuti interamente dalla generosità dei laici. Essi provvedono a creare centri per l’addestramento dei monaci e spazi per l’insegnamento e la pratica della comunità laica”.
https://santacittarama.org/2019/02/20/la-tradizione-della-foresta-in-thailandia/
Le sorti della tradizione Theravada in Italia sono legate, come forse molti già sanno, al monastero (e alla relativa associazione) Santicittarama (in pali: “il giardino del cuore sereno”), al cui sito si è attinto per i numerosi materiali e documenti consultati per questo scritto. Il monastero sorse, anche in questo caso, per aderire alle esigenze della comunità asiatica presente in Italia e alle richieste dei molti buddhisti italiani. Il libro “Santicittarama, i primi trent’anni”, contenente la storia della nascita del Santicittarama, ricchissimo di foto, è disponibile al link https://santacittarama.org/wp-content/uploads/2020/10/Santacittarama_IPTA_ITA_WEb.pdf.
Qui vogliamo solo ricordare che la fondazione del monastero e la diffusione della tradizione Theravada in Italia sono legati ad alcune figure di intellettuali e personalità di spicco da cui è impossibile prescindere nella narrazione di una eventuale storia della meditazione del ‘900. Figure autorevoli che hanno avuto il pregio di marcare un terreno tracciando sentieri che sarebbero stati poi percorsi da filoni e sottofiloni di allievi e seguaci tra i quali oggi bisogna saper camminare. Il Santicittarama fu inaugurato per la prima volta nel marzo 1990. La sua sede era in un villino donato da Vicenzo Piga.
Così testimoniano alcune righe del prezioso libro sulla storia del Santicittarama:
“È possibile suddividere i sostenitori grosso modo in due gruppi: una grande comunità di cingalesi e un gruppo di buddhisti italiani esperti. Corrado Pensa e Vincenzo Piga fanno parte di quest’ultimo. In Italia, nell’ultimo decennio il primo si è distinto quale insegnante di meditazione vipassana e il secondo nell’ambito degli studi buddhisti. In questo Paese manca il monachesimo theravādin, anche se il buddhismo zen, tibetano e nichiren sono saldamente rappresentati”.
“La buona volontà che tutti dimostrano è davvero toccante, soprattutto quella del signor Piga – che di recente è rimasto con noi per tre giorni, quale nostro primo ospite – e della Fondazione Maitreya, di Corrado Pensa e del suo gruppo, la A.Me.Co (Associazione di Meditazione e Consapevolezza)” - (tratto dal libro Santicittarma, cit. pag. 10).
Vincenzo Piga e Corrado Pensa non hanno bisogno di presentazioni. Forse di un tributo in più per lo spessore che la loro impronta ha lasciato nella riscoperta di un bisogno di spiritualità non castigato e di ampio respiro, interreligioso e laico, come piace a noi.
Annunziata Candida Fusco
Bergamo, 19 agosto 2022
(Annunziata Candida Fusco)