Letture
Cominciamo con un momento di silenzio, con il gong. Dopo tre colpi cercheremo di essere seduti immobili esteriormente e silenziosi nell’interiorità. Respiriamo in modo consapevole e prendiamo coscienza che in questo luogo tutti insieme respiriamo la stessa aria. Siamo grati per questa comunione del respiro. Lo facciamo per qualche minuto, e concluderemo con un nuovo colpo di Gong.
Grazie! Il silenzio è sempre un regalo, offerto vicendevolmente! In sé è fragile ma offerto gli uni agli altri, è preziosissimo. Ci sarebbe da lottare per diffondere una vera cultura del silenzio all’interno delle nostre culture umane, molto chiassose. Non c’è animale più rumoroso sotto il cielo che l’uomo.
Mi è stato chiesto di studiare che cosa si dice nella Bibbia a proposito della meditazione. La prima sorpresa è stata nello scoprire un cerchio: la Bibbia è materia di meditazione ma è pure un libro che provoca e stimola la meditazione! Si trova già nel libro stesso la forma del meditare e non soltanto la materia. Si impara come leggere bene, con profitto, il libro.
Apriamo il libro dei Salmi, alla prima pagina:
Beato l’uomo che non entra, non resta, non siede in compagnia degli arroganti,
i malvagi, gli empi,
ma nella Legge del Signore trova la sua gioia, il suo piacere
e medita la sua Legge giorno e notte!
È come un albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo
e tutto quello che fa riesce bene!
Ecco una bella apertura di tutto il libro dei 150 Salmi. Chi medita i Salmi, medita infatti la Legge del Signore e lo fa – così si suppone – giorno e notte, portando frutto a suo tempo: tutto ciò che fa riesce bene!
Questo libro dei Salmi si trova all’inizio della terza parte della Bibbia ebraica. Ma all’inizio della seconda parte, cioè i Profeti, si legge un ritratto ideale del nuovo capo del popolo di Dio, dopo la morte di Mosè. Che cosa deve fare il successore di Mosè, cioè Giosuè? Deve anche lui meditare la Torah, la Legge del Signore, giorno e notte. Vi leggo i versetti 7 e 8 del primo capitolo del libro di Giosuè:
Solamente sii forte e coraggioso,
procurando di agire secondo tutte le istruzioni che ti ha dato Mosè, mio servo.
Non deviare né a destra né a sinistra, per poter riuscire in ogni tua impresa.
Mai si allontanerà dalle tue labbra questo libro della Legge;
meditalo di giorno e di notte,
per osservare e mettere in pratica tutto quanto vi è scritto;
così porterai a buon fine il tuo cammino [riuscirai nei tuoi cammini]
e avrai ovunque successo.
È stupenda la corrispondenza letterale tra il Salmo 1 e l’apertura del libro di Giosuè. Ora, la raccomandazione posta all’inizio del libro di Giosuè è ripresa dalla Torah stessa, nel quinto e ultimo libro, quando si parla della bella condotta del re. Che cosa deve fare il re? In Deuteronomio 17 si legge:
18 Quando insedierà sul trono regale, scriverà per suo uso in un libro una copia
di questa legge [un deutero-nomio!] sta scritto come tale nella versione greca
della Settanta], secondo l’esemplare che è presso i sacerdoti leviti.
19 Essa sarà con lui, ed egli la leggerà tutti i giorni della sua vita,
per imparare a temere il Signore suo Dio,
e a osservare tutte le parole di questa legge e questi ordinamenti,
per metterli in pratica, 20 sicché non si esalti il suo cuore
al di sopra dei suoi fratelli ed egli non si allontani da questi comandi
né a destra né a sinistra e prolunghi così i suoi giorni del suo regno,
lui e i suoi figli, in mezzo a Israele.
Tutti e tre, il re, poi il nuovo capo dopo Mosè, cioè Giosuè, e infine il semplice fedele, il pio e giusto, in mezzo al popolo di Dio ricevono l’ordine di praticare la stessa disciplina!
Si può notare che c’è una progressiva democratizzazione del comando di leggere, di meditare e di prendere a cuore le parole della Torah, per osservare e praticare i comandi del Signore, tutta la vita, ogni giorno si dice per il re, giorno e notte per Giosuè e per il semplice fedele, il chassid.
Notiamo ancora che il verbo hagah – tradotto come ‘meditare’ – s’incontra per la prima volta nella Bibbia ebraica in Giosuè, primo capitolo 1, v. 8. In Dt 17 si parla solo di leggere. In Salmo 1: si dice di trovare il proprio piacere nella Torah del Signore e poi di mormorarla: hagah, dicono i linguisti, è una voce onomatopeica, il rumore della gola o della laringe – e lo si dice per almeno quattro animali in tutta la Bibbia: la rondine, la colomba, l’orso e pure il leone!
La cosa interessante è che tre volte, nelle tre parti della Bibbia ebraica, si insiste sull’arte di prendere a cuore il Libro. Il Libro stesso raccomanda di prenderlo in mano ogni giorno, e pure di notte! Il salterio appare come il libretto che riassume il grande Libro, la Tenach (Torah, Neviim o Profeti e Kethuvim, chiamati anche “gli agiographi” o “gli Scritti”).
Come esaminare adesso da vicino tutta la ricchezza della meditazione in actu, nella Bibbia? La realtà può essere dappertutto, anche se manca come tale la parola “meditare” o “meditazione”!
Comincerò con una chiave sintetica che riassume tutte le tradizioni riunite nel libro conosciuto da noi come Antico o Primo Testamento, cioè essenzialmente la Bibbia ebraica. Poi parlerò del Nuovo Testamento.
L’uomo biblico è in un certo senso triplice: è sacerdote, è profeta ed è un saggio. Ci sono difatti tre visioni nella Bibbia, in dialettica l’una con le altre: l’una è sacerdotale, molto presente nei cinque libri della Torah; l’altra è profetica, attestata nei libri profetici, e una terza è sapienziale. Si ritrova un po’ dovunque ma in particolare nei libri poetici e di sapienza come i Salmi, Giobbe, i Proverbi, o il Siracide, per dare qualche esempio.
Dalle tre si può imparare come meditare.
La tradizione sacerdotale insiste prima di tutto sul verbo zakhar, il “ricordare” del passato, delle meraviglie del Signore in tutta la storia salvifica. Ricordare presuppone la memorizzazione dei gesti e delle parole del Signore. Riportando alla memoria questi, si raggiunge la loro forza del passato nel tempo presente. Lo zikkharon come prassi implica sempre una forma di attualizzazione di ciò che si ricorda. Si dice per esempio: “Non sono i vostri padri che furono salvati dalla schiavitù e dal forno oppressivo dell’Egitto: siete voi che in questa notte di Pasqua col grande ricordare vivete oggi stesso la vostra liberazione!”
Citiamo un passo famoso dove si esprime tutta la ricchezza del meditare intesa come un modo di ricordarsi. In Deuteronomio 6 si legge: Shema’ Israel, Adonaï Elohenu Adonaï ‘ehad - L’ascolto presiede tutta la prassi del ricordare!
Ascolta, o Israele: il Signore il nostro Dio è il Signore Uno. 5 Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l' anima, con tutta la forza. 6 Le parole che oggi ti ordino, siano nel tuo cuore. 7 Le inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando sei seduto in casa, quando cammini per strada, quando sei coricato e quando sei in piedi. 8 Le legherai come un segno sulla tua mano, saranno come un pendaglio tra i tuoi occhi. 9 Le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte. (...) Si legge poi, in qualche versetto seguente: Guardati dal dimenticare il Signore, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa di schiavitù (Dt 6, 4-9.12).
Si vede l’esigenza totale di ricordare e di aver presente l’opera salvifica di Dio secondo l’alleanza che unisce il Dio vivo con il suo popolo. “Con tutta l’anima, il cuore, l’intelligenza, e tutte le forze”. L’esteriorità (all’entrata della porta della tua casa), sulle mani, dappertutto, anche nei cuori della nuova generazione si pratica una riflessione-meditazione continua.
Prima di lasciare i cinque libri di Mosé, la Torah, riporto ancora i due frammenti che riguardano la meditazione. Il primo è il caso di Isacco che “di sera esce nei campi per meditare un po’”. Alcuni traducono “per pregare”! (il verbo ebraico è lasouah, fare una passeggiata). E proprio in quel momento arrivano dall’oriente i cammelli con la futura moglie: Rivka, Rebecca (Gn 24, 63s.).
Un altro passo parla di Giacobbe. Dopo il racconto dei sogni di Giuseppe, i suoi fratelli sono pieni di odio contro il loro fratello. Invece, di Giacobbe si dice, “ma suo padre conservò in mente la cosa” (Gn 37,11). Ritroveremo questo modo di non dimenticare le cose, pure quando, in quel momento, non se ne comprende ancora tutto il significato.
La tradizione profetica usa spesso il verbo meditare ma in genere per denunziare i nemici che meditano il crimine, il male! Pure il Dio dei profeti annuncia che sta meditando cose terribili per punire l’infedeltà del suo popolo. In una Concordanza ho trovato per i Profeti da Isaia a Zacharia 14 volte il verbo meditare, ma nessun caso era positivo: sia Dio sia gli empi meditano cose tremende gli uni contro gli altri.
I profeti sono “uomini dello Spirito” e “uomini della Parola”, come si lasciano definire loro stessi. Conoscono però anche il silenzio, il ritiro nella solitudine, vivendo ai margini della folla, andando “nel deserto dove Dio parla al cuore”, come dice Osea. Elia si era recato al torrente di Kerit, al di là del Giordano, poi lo si trova a Sarepta, nell’estremo Nord, alla frontiera con Aram. In piena crisi egli ritorna tutto solo verso l’Oreb, la montagna dell’origine della religiosità ebraica, là dove Mosè ha ricevuto la rivelazione fondatrice per tutta la storia del popolo. Elia è stanco, deluso, desidera più la morte che la vita. Ritrova pure, dice il testo, la grotta, cioè quella di Mosé, all’Oreb! Ora, Dio viene, Dio passa davanti, ma non è più presente nelle grandi manifestazioni cosmiche, secondo la prima religiosità di Elia. “Vento impetuoso da spaccare i monti e spezzare le rocce”, “terremoto”, e “fuoco”: tre volte si ripete: “ma Dio non c’era” nel vento, non c’era nel terremoto, non c’era nel fuoco... Arriva allora una “voce di un silenzio penetrante”. Qol demama daqqa. ‘Voix d’un fin silence’, secondo la traduzione del filosofo ebraico Levinas. Un paradosso o un ossimoro: ‘voce silenziosa’, che però penetra l’uomo di Dio e stabilisce un nuovo contatto con il Dio vivente. Tutto si concluderà con una nuova missione e una parola decisiva e finale per tutto il suo percorso profetico. Ungerà un re su Aram e un capo su Israele e un profeta successore nella persona di Eliseo. L’uomo profetico - uomo della parola - rinasce qui dal silenzio. Scopre anche con occhi nuovi la piena realtà: “Ci sono ancora 7000 che non hanno piegato le ginocchia davanti a Baal!” Lui che pensava: “Io, zelota, sono rimasto del tutto solo, l’unico fedele autentico!”
Non è l’unico passo che valorizza il silenzio. Numerosi sono i testi anche nei dodici piccoli profeti che insistono sul “fare” e “osservare il silenzio” per ritrovare un rapporto autentico con il Dio vivo.
Abacuc indica il suo modo di aspettare perché venga da lui una parola del Signore: Aveva gridato: “Fino a quando griderò, o Signore, senza che tu mi dia ascolto? E perché tanta violenza senza fine...?” Poi si mette in condizioni di ricevere una risposta:
Io mi metto al mio posto di guardia, sto in piedi sopra la mia roccia
e sto attento per sentir che mi dirà, che risponderà al mio lamento.
Il Signore mi ha risposto e ha detto:
Scrivi la visione, incidila su tavolette, perché si corra a leggerla (2,1-2).
E finisce l’oracolo con queste parole: “Il Signore è nel suo santo tempio! Silenzio davanti a lui, terra tutta quanta!” (cf. Sofonia 1,7: “Silenzio, alla presenza del Signore Dio”. Perché arriva il tremendo giorno del Signore!)
Ci sarebbe da sviluppare qui un’analisi sui i grandi silenzi religiosi nella Bibbia. Vi indico solo un silenzio assai eccezionale, molto commentato nella letteratura rabbinica: il silenzio di Aronne. Nella prima, primissima liturgia nel deserto, due dei suoi quattro figli, incensando l’altare, muoiono. Aronne perde in un attimo la metà della sua discendenza. Mosè si alza e commenta l’evento. Poi sta scritto: “Aronne tacque” (Lv 10,3). Non dice niente, non risponde al suo fratello più piccolo, Mosè, non accusa Dio, non getta nessuna accusa sui due figli, non accusa se stesso. Riesce a rimanere nella grandezza del puro silenzio. Conserva così il contatto con tutto e con tutti, con i vivi e i morti, e soprattutto con Dio. Ecco la grandezza dell’uomo sacerdotale, segnato di un distacco pieno di reverenza.
La tradizione sapienziale è certamente la più ricca quanto alla prassi meditativa. E in questo ramo i Salmi giocano un ruolo essenziale.
Il primo salmo, già incontrato, indicava l’esercizio essenziale: meditare, come mormorare, giorno e notte. Ripetere, memorizzare e fare memoria (zakar), ruminare. C’è qui la bella consapevolezza che le parole sono spesso troppo grandi per essere immediatamente capite. Si deve ripetere e ruminare la Parola, continuamente. Si è detto questo pure delle parole di Gesù stesso: “Furono prima ricordate/memorizzate e soltanto dopo, mesi o anni dopo, capite!” Non è sicuro che noi, oggi, capiamo ancora la funzione della memoria come luogo dove matura il senso delle parole. Soltanto poco a poco si arriva ad una piena intelligenza. Come un delfino che spontaneamente può sorgere dall’acqua, così anche una parola può risorgere in noi con nuovi significati.
Nel Salmo 19 (18) c’è una meditazione-contemplazione di tre tipi di linguaggio, si potrebbe dire di tre parole: la prima è cosmica: “I cieli narrano la gloria di Dio...” senza linguaggio, senza parole, “senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio, il loro messaggio!” C’è comunicazione, ma senza voce alcuna! Poi viene l’elogio della Legge del Signore, l’auto-comunicazione divina che è “perfetta”, “limpida”, “rallegrando il cuore, illuminando gli occhi”. Infine arriva l’uomo stesso: il tuo servo ne è illuminato. Con il dono e perdono di Dio potrà assicurarsi che “le parole della mia bocca ti siano gradite, e davanti a te i pensieri del mio cuore, Signore, mia roccia e mio redentore” (S. 19,15). Parole e pensieri, bocca e cuore, sono una sola cosa che piace a Dio. Grandezza poetica di questo salmo, col triplice modo di ascoltare e meditare l’auto-comunicazione divina nella natura, nella Torah e nella coscienza purificata dell’uomo illuminato e perdonato.
Diciamo ancora una parola sul grande Salmo 119 (118): l’arte di composizione di questo poema è un gioco compiuto da un giovane scolaro, con parole e pure con le 22 lettere dell’alfabeto ebraico[1]. Ha trovato otto parole sinonimiche per dire la Torah. Impariamo nella sua scuola tanti verbi indicativi dell’atteggiamento giusto per vivere bene la Parola, la Torah, la rivelazione intima del Dio vivo al suo servo: ascoltare, memorizzare, prendere a cuore, eseguire, praticare, aderire (davka, la famosa devekut, aderire, incollare). Sta a modello per altri passi non meno famosi nei salmi e ogni tanto anche in Isaia.
Vediamo il salmo143,5:
‘Ricordo i giorni passati,
ripenso a tutte le tue azioni,
medito sulle opere delle tue mani.
Tre verbi, un esercizio, senza libri! Pura meditazione con quello che abita il cuore. Il mistico fiammingo Giovanni Ruysbroeck raccomanda, in uno dei suoi ultimi trattati (Van de zeven Sloten, “Sui sette chiostri”), indirizzato ad una clarissa, di aprire tre libretti da percorrere prima di mettersi a dormire: il primo libro è nero, sporco, contiene i nostri peccati, libro del passato. Il secondo libro è bianco con lettere in rosso, scritto col sangue di Cristo, e le lettere ornate sono le cinque piaghe della sua passione alla Croce, e poi come terzo libro c’è il celeste, in blu e verde con lettere d’oro! Per il primo l’orante si trova coricato a terra, per il secondo è in ginocchio, e per il terzo, in piedi, con le mani alzate. Ci si ricorda il passato, si realizza il presente e si aspetta con gioia il futuro. Ecco una meditazione-contemplazione con tre libri senza libro perché essi si trovano nella memoria di ciascuno e sono ricordati attraverso il corpo a terra, in ginocchia o in piedi.
Nel salmo 77, 3s.; 13s. si legge:
Nel giorno dell’angoscia io cerco il Signore,
nella notte è protesa la mia mano e non si stanca;
rifiuta ogni conforto l’anima mia.
4 Penso a Dio e sospiro; rifletto, e viene meno il mio spirito.
5 Tengo aperte le mie palpebre, sono turbato e taccio [incapace di parlare].
6 Ripenso ai giorni passati, gli anni lontani ricordo.
7 Medito di notte nel mio cuore, rifletto, e il mio spirito indaga:
Ricorderò le gesta del Signore.
Sì, voglio ricordare le tue meraviglie fin dai tempi antichi.
13 E mediterò su tutto il tuo operato e considererò tutte le tue gesta.
14 O Dio, nella santità è la tua via; quale dio è grande come il nostro Dio?
Il salmo ci fa fare un cammino interiore, esemplare infatti, partendo dall’incapacità di trovare una parola. Ripenso, ricordo, medito, considero, il mio spirito indaga, di notte, il mio cuore, il mio spirito, penso a Dio e sospiro.
I Proverbi di Salomone spiegano ai giovani la disciplina necessaria di attaccarsi alle parole degli anziani, del padre o della madre. Leggiamo un passo che ci ricorderà il famoso Shema Israele, del Deuteronomio, capitolo sesto. Con la differenza che l’insegnamento da conservare nel cuore non sono le parole della Torah di Mosè ma quelle del maestro e dei genitori.
20 “Osserva, figlio mio, il precetto di tuo padre,
non rifiutare l’insegnamento di tua madre.
21 Appendili sul tuo cuore per sempre, fissali intorno al tuo collo.
22 Quando tu ti muovi, essa ti conduce, quando riposi essa ti custodisce
e quando tu ti svegli ti saluta.
23 Il precetto è veramente una lampada, è luce l’insegnamento
e via della vita il rimprovero che corregge”, (Prov 6,20-23;
cf. 3,3: “Scrivile sulla tavola del tuo cuore”, e Giosuè 1,8).
Per mezzo dei proverbi degli antenati si impara la lingua, il ritmo gradevole di esporre le cose, la forza delle immagini, la logica ogni tanto ironica di una vita stupida o intelligente, e il modo di comportarsi con tutti, con i grandi della terra, a tavola, con le ricchezze, le donne, la prostituta, il ricco e il povero. La meditazione aiuta a distinguere, a scoprire la compagnia positiva, persino la mistica. Qoelet, Siracide, l’autore del libro della Sapienza, tutti sviluppano una metodologia coerente per vivere bene, dalla giovinezza fino alla vecchiaia, con la Sapienza, “sposa del saggio”, come dice Salomone.
In questi giorni fortunatamente ho trovato un testo che si trova a cavallo tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Si tratta di un frammento del Testamento dei Dodici Patriarchi, conservato in greco ma tradotto molto probabilmente da un originale aramaico. Il “Testamento di Levi” ha un brano che riassume bene ciò che abbiamo visto fino ad adesso, e aggiunge pure una dimensione non incontrata in modo così esplicito:
“Temete il Signore, vostro Dio, con tutto il vostro cuore e camminate nella semplicità, secondo tutta la sua Legge. Insegnate, anche voi, a leggere ai vostri figli, affinché abbiano l’intelligenza tutta la loro vita, leggendo continuamente la Legge di Dio. Perché chiunque conosce la Legge di Dio sarà rispettato
e non sarà mai più uno straniero ovunque vada.
In effetti, acquisterà molti amici aldilà dei suoi parenti...
Acquistate la sapienza nel timore di Dio.
La sapienza del saggio nessuno potrà rapirla...
Se qualcuno si guarda dalle opere malvagie,
la sua saggezza brillerà pure in mezzo ai suoi nemici,
in terra straniera troverà una patria
e pure presso il nemico sarà considerato come un amico” (TLevi 13,1-4.7-8).
L’applicazione alla Legge rende uno amichevole, pure in mezzo a stranieri e nemici!
Una parola o due, sul Nuovo Testamento. Il Nuovo Testamento può deludere il ricercatore. Manca il vocabolario della meditazione! Mai si trova la parola meletè o “meditazione” in greco. Una sola volta c’è il verbo meletân, e un’altra volta, in Luca, troviamo il verbo composto: promeletan, in latino praemeditari: “Non dovrete preparare il vostro discorso, la vostra apologia” davanti al tribunale perché “io vi darò parola e sapienza” (Lc 21,14s.).
L’unico passo che raggiunge un po’ ciò che stiamo ricercando, si trova in una lettera deutero-paolina:
“Fino alla mia venuta àpplicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento. Non trascurare il carisma che è in te e che ti fu dato per mezzo della profezia insieme all’imposizione delle mani dei presbiteri. Abbi premura di queste cose (tauta meleta), dedicati ad esse, affinché a tutti sia noto il tuo progresso. Attendi a te stesso e all’insegnamento: persevera in queste cose poiché, così facendo, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano” (1 Tm 4,13-16).
Se manca la parola, non manca però la realtà del meditare. C’è il bell’esempio citato da tutti: “Maria conservava tutte queste cose/eventi/parole nel suo cuore” (Lc 2,19.51, anche senza capire!). C’è pure il suo famoso cantico, il Magnificat che si presenta come un riassunto dei Salmi, dei Profeti e del Cantico della madre di Samuele, Hannah. Maria, cantando così, è la memoria del suo popolo e ricorda l’agire divino nella sua vita e in tutta la storia. Tutto in questo nuovo salmo parla solo di Dio. Anche per il suo sposo Giuseppe si potrebbe estendere una riflessione sulla qualità del suo silenzio. Non dice niente, mai, nei quattro vangeli ma ascolta, e segue immediatamente ciò che gli è detto di fare. Risponde nell’azione. E pronuncia solo il nome del figlio di Maria: Gesù, quello che salva nel nome del Signore, come gli aveva detto l’Angelo. Vita di un “esicasta”, si potrebbe dire: rivestito del mantello del silenzio, medita e mormora continuamente nel cuore il solo Nome salvifico.
D’altra parte, tanti passi delle lettere e pure del vangelo implicano una buona memoria delle sacre Scritture!
Paolo non ha percorso l’altopiano della Turchia di oggi con tutti i rotoli della Torah o dei Profeti sulle sue spalle! Cita tutto a memoria, anche i proverbi di Salomone (“Dio ama colui che dona con gioia”) e passi del tardo Isaia! L’esempio, il più eloquente della sua memoria creativa, sono i tre capitoli nella Lettera ai Romani : 9-11! Risponde alle domande terribili: “Dio avrebbe ripudiato il suo popolo?” Oppure “La Parola di Dio sarebbe venuta meno?” Percorre tutta la Bibbia, dalla Genesi al profeta Malachia, per rispondere a queste grandi domande. Mosè, Elia, Isaia vengono a testimoniare ciò che Dio pensa, desidera, intende fare, ecc. Stupenda riflessione appassionata su Dio grazie alla meditazione di tutt’una vita sulla Parola contenuta nella Legge e nei Profeti.
Ricordiamo pure La Lettera agli Ebrei o l’Apocalisse di Giovanni. Sono prodotti da grandi conoscitori della Bibbia intera. Paolo e gli altri conoscono pure la profondità di alcuni midrash o di letture targumiche: “è salito” come Mosè, “è disceso” come Giona, riempie tutto, sia per il popolo eletto, come faceva Mosè, sia per i pagani tutti, come nel caso di Giona!
Si vede anche tutti i passi della vita di Gesù che l’evangelista Matteo riesce a fondare su brani del Primo Testamento: Come sta scritto dal profeta... Questo suppone una scuola di lettura e di rilettura, con grande libertà associativa, ogni tanto provocatoria (come per il caso di Abramo con le due mogli, l’una essendo schiava, l’altra libera, e così pure i loro figli, in Galati 4). Suppone sempre la prassi della meditatio della Parola.
Possiamo scoprire una vera catena: leggere, memorizzare, ricordare, riflettere, rileggere con una creatività rabbinica, ogni tanto andando anche contro il senso ovvio. Leggiamo in Matteo 2 : “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto (oudamôs! “in nessun modo”!) la minima (elachistè) fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele" (Mt 2,6). L’evangelista non esita a cambiare il testo di Michea perché dopo la nascita del principe messianico non si può più dire: ‘Sei la più piccola!’, anche se sta scritto alla lettera in questo modo in Michea 5,1.3.
Rimane ciò che Luca indica come tipico per l’atteggiamento di Maria: anche senza capire, era capace di accogliere nel suo cuore parole ed eventi forti, essendo in questo atteggiamento un modello per il lettore del vangelo. Tutti i lettori e le lettrici che hanno iniziato la lettura del Vangelo lucano sono invitati, attraverso la figura di Maria, a registrare bene gli eventi iniziali della storia di Gesù per capire passo dopo passo ciò che avverrà di questo fanciullo.
In conclusione, l’intera ricerca ci ha permesso di incontrare diversi brani biblici eloquenti sulla meditazione. Leggere, rileggere, memorizzare, creare cose nuove con associazioni diverse, accettare di pensare insieme testi contraddittori, coltivare un silenzio puro senza commenti davanti al più grande o al più temibile, ecco le cose che si trovano scritte nella Bibbia, indicando il modo di frequentarla con sapienza, portando qualche profitto spirituale.
[1]Piccolo dettaglio : i Greci hanno tradotto cinque volte con meletè (“meditazione”, seguiti su questo punto dai Latini con meditatio) una parola ebraica (sha’ashu’im) che significa infatti “delizia”. Ci troviamo molto probabilmente davanti ad una comprensione erronea del testo originale. Tale errore si ritrova solo nel salmo 119(118), nei versetti 24.77.92.143.174 per il sostantivo e tre volte con il verbo “dilettarsi”, nei versetti 16.47 e 70).
(Benoit Standaert)
Grazie! Il silenzio è sempre un regalo, offerto vicendevolmente! In sé è fragile ma offerto gli uni agli altri, è preziosissimo. Ci sarebbe da lottare per diffondere una vera cultura del silenzio all’interno delle nostre culture umane, molto chiassose. Non c’è animale più rumoroso sotto il cielo che l’uomo.
Mi è stato chiesto di studiare che cosa si dice nella Bibbia a proposito della meditazione. La prima sorpresa è stata nello scoprire un cerchio: la Bibbia è materia di meditazione ma è pure un libro che provoca e stimola la meditazione! Si trova già nel libro stesso la forma del meditare e non soltanto la materia. Si impara come leggere bene, con profitto, il libro.
Apriamo il libro dei Salmi, alla prima pagina:
Beato l’uomo che non entra, non resta, non siede in compagnia degli arroganti,
i malvagi, gli empi,
ma nella Legge del Signore trova la sua gioia, il suo piacere
e medita la sua Legge giorno e notte!
È come un albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo
e tutto quello che fa riesce bene!
Ecco una bella apertura di tutto il libro dei 150 Salmi. Chi medita i Salmi, medita infatti la Legge del Signore e lo fa – così si suppone – giorno e notte, portando frutto a suo tempo: tutto ciò che fa riesce bene!
Questo libro dei Salmi si trova all’inizio della terza parte della Bibbia ebraica. Ma all’inizio della seconda parte, cioè i Profeti, si legge un ritratto ideale del nuovo capo del popolo di Dio, dopo la morte di Mosè. Che cosa deve fare il successore di Mosè, cioè Giosuè? Deve anche lui meditare la Torah, la Legge del Signore, giorno e notte. Vi leggo i versetti 7 e 8 del primo capitolo del libro di Giosuè:
Solamente sii forte e coraggioso,
procurando di agire secondo tutte le istruzioni che ti ha dato Mosè, mio servo.
Non deviare né a destra né a sinistra, per poter riuscire in ogni tua impresa.
Mai si allontanerà dalle tue labbra questo libro della Legge;
meditalo di giorno e di notte,
per osservare e mettere in pratica tutto quanto vi è scritto;
così porterai a buon fine il tuo cammino [riuscirai nei tuoi cammini]
e avrai ovunque successo.
È stupenda la corrispondenza letterale tra il Salmo 1 e l’apertura del libro di Giosuè. Ora, la raccomandazione posta all’inizio del libro di Giosuè è ripresa dalla Torah stessa, nel quinto e ultimo libro, quando si parla della bella condotta del re. Che cosa deve fare il re? In Deuteronomio 17 si legge:
18 Quando insedierà sul trono regale, scriverà per suo uso in un libro una copia
di questa legge [un deutero-nomio!] sta scritto come tale nella versione greca
della Settanta], secondo l’esemplare che è presso i sacerdoti leviti.
19 Essa sarà con lui, ed egli la leggerà tutti i giorni della sua vita,
per imparare a temere il Signore suo Dio,
e a osservare tutte le parole di questa legge e questi ordinamenti,
per metterli in pratica, 20 sicché non si esalti il suo cuore
al di sopra dei suoi fratelli ed egli non si allontani da questi comandi
né a destra né a sinistra e prolunghi così i suoi giorni del suo regno,
lui e i suoi figli, in mezzo a Israele.
Tutti e tre, il re, poi il nuovo capo dopo Mosè, cioè Giosuè, e infine il semplice fedele, il pio e giusto, in mezzo al popolo di Dio ricevono l’ordine di praticare la stessa disciplina!
Si può notare che c’è una progressiva democratizzazione del comando di leggere, di meditare e di prendere a cuore le parole della Torah, per osservare e praticare i comandi del Signore, tutta la vita, ogni giorno si dice per il re, giorno e notte per Giosuè e per il semplice fedele, il chassid.
Notiamo ancora che il verbo hagah – tradotto come ‘meditare’ – s’incontra per la prima volta nella Bibbia ebraica in Giosuè, primo capitolo 1, v. 8. In Dt 17 si parla solo di leggere. In Salmo 1: si dice di trovare il proprio piacere nella Torah del Signore e poi di mormorarla: hagah, dicono i linguisti, è una voce onomatopeica, il rumore della gola o della laringe – e lo si dice per almeno quattro animali in tutta la Bibbia: la rondine, la colomba, l’orso e pure il leone!
La cosa interessante è che tre volte, nelle tre parti della Bibbia ebraica, si insiste sull’arte di prendere a cuore il Libro. Il Libro stesso raccomanda di prenderlo in mano ogni giorno, e pure di notte! Il salterio appare come il libretto che riassume il grande Libro, la Tenach (Torah, Neviim o Profeti e Kethuvim, chiamati anche “gli agiographi” o “gli Scritti”).
Come esaminare adesso da vicino tutta la ricchezza della meditazione in actu, nella Bibbia? La realtà può essere dappertutto, anche se manca come tale la parola “meditare” o “meditazione”!
Comincerò con una chiave sintetica che riassume tutte le tradizioni riunite nel libro conosciuto da noi come Antico o Primo Testamento, cioè essenzialmente la Bibbia ebraica. Poi parlerò del Nuovo Testamento.
L’uomo biblico è in un certo senso triplice: è sacerdote, è profeta ed è un saggio. Ci sono difatti tre visioni nella Bibbia, in dialettica l’una con le altre: l’una è sacerdotale, molto presente nei cinque libri della Torah; l’altra è profetica, attestata nei libri profetici, e una terza è sapienziale. Si ritrova un po’ dovunque ma in particolare nei libri poetici e di sapienza come i Salmi, Giobbe, i Proverbi, o il Siracide, per dare qualche esempio.
Dalle tre si può imparare come meditare.
La tradizione sacerdotale insiste prima di tutto sul verbo zakhar, il “ricordare” del passato, delle meraviglie del Signore in tutta la storia salvifica. Ricordare presuppone la memorizzazione dei gesti e delle parole del Signore. Riportando alla memoria questi, si raggiunge la loro forza del passato nel tempo presente. Lo zikkharon come prassi implica sempre una forma di attualizzazione di ciò che si ricorda. Si dice per esempio: “Non sono i vostri padri che furono salvati dalla schiavitù e dal forno oppressivo dell’Egitto: siete voi che in questa notte di Pasqua col grande ricordare vivete oggi stesso la vostra liberazione!”
Citiamo un passo famoso dove si esprime tutta la ricchezza del meditare intesa come un modo di ricordarsi. In Deuteronomio 6 si legge: Shema’ Israel, Adonaï Elohenu Adonaï ‘ehad - L’ascolto presiede tutta la prassi del ricordare!
Ascolta, o Israele: il Signore il nostro Dio è il Signore Uno. 5 Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l' anima, con tutta la forza. 6 Le parole che oggi ti ordino, siano nel tuo cuore. 7 Le inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando sei seduto in casa, quando cammini per strada, quando sei coricato e quando sei in piedi. 8 Le legherai come un segno sulla tua mano, saranno come un pendaglio tra i tuoi occhi. 9 Le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte. (...) Si legge poi, in qualche versetto seguente: Guardati dal dimenticare il Signore, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa di schiavitù (Dt 6, 4-9.12).
Si vede l’esigenza totale di ricordare e di aver presente l’opera salvifica di Dio secondo l’alleanza che unisce il Dio vivo con il suo popolo. “Con tutta l’anima, il cuore, l’intelligenza, e tutte le forze”. L’esteriorità (all’entrata della porta della tua casa), sulle mani, dappertutto, anche nei cuori della nuova generazione si pratica una riflessione-meditazione continua.
Prima di lasciare i cinque libri di Mosé, la Torah, riporto ancora i due frammenti che riguardano la meditazione. Il primo è il caso di Isacco che “di sera esce nei campi per meditare un po’”. Alcuni traducono “per pregare”! (il verbo ebraico è lasouah, fare una passeggiata). E proprio in quel momento arrivano dall’oriente i cammelli con la futura moglie: Rivka, Rebecca (Gn 24, 63s.).
Un altro passo parla di Giacobbe. Dopo il racconto dei sogni di Giuseppe, i suoi fratelli sono pieni di odio contro il loro fratello. Invece, di Giacobbe si dice, “ma suo padre conservò in mente la cosa” (Gn 37,11). Ritroveremo questo modo di non dimenticare le cose, pure quando, in quel momento, non se ne comprende ancora tutto il significato.
La tradizione profetica usa spesso il verbo meditare ma in genere per denunziare i nemici che meditano il crimine, il male! Pure il Dio dei profeti annuncia che sta meditando cose terribili per punire l’infedeltà del suo popolo. In una Concordanza ho trovato per i Profeti da Isaia a Zacharia 14 volte il verbo meditare, ma nessun caso era positivo: sia Dio sia gli empi meditano cose tremende gli uni contro gli altri.
I profeti sono “uomini dello Spirito” e “uomini della Parola”, come si lasciano definire loro stessi. Conoscono però anche il silenzio, il ritiro nella solitudine, vivendo ai margini della folla, andando “nel deserto dove Dio parla al cuore”, come dice Osea. Elia si era recato al torrente di Kerit, al di là del Giordano, poi lo si trova a Sarepta, nell’estremo Nord, alla frontiera con Aram. In piena crisi egli ritorna tutto solo verso l’Oreb, la montagna dell’origine della religiosità ebraica, là dove Mosè ha ricevuto la rivelazione fondatrice per tutta la storia del popolo. Elia è stanco, deluso, desidera più la morte che la vita. Ritrova pure, dice il testo, la grotta, cioè quella di Mosé, all’Oreb! Ora, Dio viene, Dio passa davanti, ma non è più presente nelle grandi manifestazioni cosmiche, secondo la prima religiosità di Elia. “Vento impetuoso da spaccare i monti e spezzare le rocce”, “terremoto”, e “fuoco”: tre volte si ripete: “ma Dio non c’era” nel vento, non c’era nel terremoto, non c’era nel fuoco... Arriva allora una “voce di un silenzio penetrante”. Qol demama daqqa. ‘Voix d’un fin silence’, secondo la traduzione del filosofo ebraico Levinas. Un paradosso o un ossimoro: ‘voce silenziosa’, che però penetra l’uomo di Dio e stabilisce un nuovo contatto con il Dio vivente. Tutto si concluderà con una nuova missione e una parola decisiva e finale per tutto il suo percorso profetico. Ungerà un re su Aram e un capo su Israele e un profeta successore nella persona di Eliseo. L’uomo profetico - uomo della parola - rinasce qui dal silenzio. Scopre anche con occhi nuovi la piena realtà: “Ci sono ancora 7000 che non hanno piegato le ginocchia davanti a Baal!” Lui che pensava: “Io, zelota, sono rimasto del tutto solo, l’unico fedele autentico!”
Non è l’unico passo che valorizza il silenzio. Numerosi sono i testi anche nei dodici piccoli profeti che insistono sul “fare” e “osservare il silenzio” per ritrovare un rapporto autentico con il Dio vivo.
Abacuc indica il suo modo di aspettare perché venga da lui una parola del Signore: Aveva gridato: “Fino a quando griderò, o Signore, senza che tu mi dia ascolto? E perché tanta violenza senza fine...?” Poi si mette in condizioni di ricevere una risposta:
Io mi metto al mio posto di guardia, sto in piedi sopra la mia roccia
e sto attento per sentir che mi dirà, che risponderà al mio lamento.
Il Signore mi ha risposto e ha detto:
Scrivi la visione, incidila su tavolette, perché si corra a leggerla (2,1-2).
E finisce l’oracolo con queste parole: “Il Signore è nel suo santo tempio! Silenzio davanti a lui, terra tutta quanta!” (cf. Sofonia 1,7: “Silenzio, alla presenza del Signore Dio”. Perché arriva il tremendo giorno del Signore!)
Ci sarebbe da sviluppare qui un’analisi sui i grandi silenzi religiosi nella Bibbia. Vi indico solo un silenzio assai eccezionale, molto commentato nella letteratura rabbinica: il silenzio di Aronne. Nella prima, primissima liturgia nel deserto, due dei suoi quattro figli, incensando l’altare, muoiono. Aronne perde in un attimo la metà della sua discendenza. Mosè si alza e commenta l’evento. Poi sta scritto: “Aronne tacque” (Lv 10,3). Non dice niente, non risponde al suo fratello più piccolo, Mosè, non accusa Dio, non getta nessuna accusa sui due figli, non accusa se stesso. Riesce a rimanere nella grandezza del puro silenzio. Conserva così il contatto con tutto e con tutti, con i vivi e i morti, e soprattutto con Dio. Ecco la grandezza dell’uomo sacerdotale, segnato di un distacco pieno di reverenza.
La tradizione sapienziale è certamente la più ricca quanto alla prassi meditativa. E in questo ramo i Salmi giocano un ruolo essenziale.
Il primo salmo, già incontrato, indicava l’esercizio essenziale: meditare, come mormorare, giorno e notte. Ripetere, memorizzare e fare memoria (zakar), ruminare. C’è qui la bella consapevolezza che le parole sono spesso troppo grandi per essere immediatamente capite. Si deve ripetere e ruminare la Parola, continuamente. Si è detto questo pure delle parole di Gesù stesso: “Furono prima ricordate/memorizzate e soltanto dopo, mesi o anni dopo, capite!” Non è sicuro che noi, oggi, capiamo ancora la funzione della memoria come luogo dove matura il senso delle parole. Soltanto poco a poco si arriva ad una piena intelligenza. Come un delfino che spontaneamente può sorgere dall’acqua, così anche una parola può risorgere in noi con nuovi significati.
Nel Salmo 19 (18) c’è una meditazione-contemplazione di tre tipi di linguaggio, si potrebbe dire di tre parole: la prima è cosmica: “I cieli narrano la gloria di Dio...” senza linguaggio, senza parole, “senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio, il loro messaggio!” C’è comunicazione, ma senza voce alcuna! Poi viene l’elogio della Legge del Signore, l’auto-comunicazione divina che è “perfetta”, “limpida”, “rallegrando il cuore, illuminando gli occhi”. Infine arriva l’uomo stesso: il tuo servo ne è illuminato. Con il dono e perdono di Dio potrà assicurarsi che “le parole della mia bocca ti siano gradite, e davanti a te i pensieri del mio cuore, Signore, mia roccia e mio redentore” (S. 19,15). Parole e pensieri, bocca e cuore, sono una sola cosa che piace a Dio. Grandezza poetica di questo salmo, col triplice modo di ascoltare e meditare l’auto-comunicazione divina nella natura, nella Torah e nella coscienza purificata dell’uomo illuminato e perdonato.
Diciamo ancora una parola sul grande Salmo 119 (118): l’arte di composizione di questo poema è un gioco compiuto da un giovane scolaro, con parole e pure con le 22 lettere dell’alfabeto ebraico[1]. Ha trovato otto parole sinonimiche per dire la Torah. Impariamo nella sua scuola tanti verbi indicativi dell’atteggiamento giusto per vivere bene la Parola, la Torah, la rivelazione intima del Dio vivo al suo servo: ascoltare, memorizzare, prendere a cuore, eseguire, praticare, aderire (davka, la famosa devekut, aderire, incollare). Sta a modello per altri passi non meno famosi nei salmi e ogni tanto anche in Isaia.
Vediamo il salmo143,5:
‘Ricordo i giorni passati,
ripenso a tutte le tue azioni,
medito sulle opere delle tue mani.
Tre verbi, un esercizio, senza libri! Pura meditazione con quello che abita il cuore. Il mistico fiammingo Giovanni Ruysbroeck raccomanda, in uno dei suoi ultimi trattati (Van de zeven Sloten, “Sui sette chiostri”), indirizzato ad una clarissa, di aprire tre libretti da percorrere prima di mettersi a dormire: il primo libro è nero, sporco, contiene i nostri peccati, libro del passato. Il secondo libro è bianco con lettere in rosso, scritto col sangue di Cristo, e le lettere ornate sono le cinque piaghe della sua passione alla Croce, e poi come terzo libro c’è il celeste, in blu e verde con lettere d’oro! Per il primo l’orante si trova coricato a terra, per il secondo è in ginocchio, e per il terzo, in piedi, con le mani alzate. Ci si ricorda il passato, si realizza il presente e si aspetta con gioia il futuro. Ecco una meditazione-contemplazione con tre libri senza libro perché essi si trovano nella memoria di ciascuno e sono ricordati attraverso il corpo a terra, in ginocchia o in piedi.
Nel salmo 77, 3s.; 13s. si legge:
Nel giorno dell’angoscia io cerco il Signore,
nella notte è protesa la mia mano e non si stanca;
rifiuta ogni conforto l’anima mia.
4 Penso a Dio e sospiro; rifletto, e viene meno il mio spirito.
5 Tengo aperte le mie palpebre, sono turbato e taccio [incapace di parlare].
6 Ripenso ai giorni passati, gli anni lontani ricordo.
7 Medito di notte nel mio cuore, rifletto, e il mio spirito indaga:
Ricorderò le gesta del Signore.
Sì, voglio ricordare le tue meraviglie fin dai tempi antichi.
13 E mediterò su tutto il tuo operato e considererò tutte le tue gesta.
14 O Dio, nella santità è la tua via; quale dio è grande come il nostro Dio?
Il salmo ci fa fare un cammino interiore, esemplare infatti, partendo dall’incapacità di trovare una parola. Ripenso, ricordo, medito, considero, il mio spirito indaga, di notte, il mio cuore, il mio spirito, penso a Dio e sospiro.
I Proverbi di Salomone spiegano ai giovani la disciplina necessaria di attaccarsi alle parole degli anziani, del padre o della madre. Leggiamo un passo che ci ricorderà il famoso Shema Israele, del Deuteronomio, capitolo sesto. Con la differenza che l’insegnamento da conservare nel cuore non sono le parole della Torah di Mosè ma quelle del maestro e dei genitori.
20 “Osserva, figlio mio, il precetto di tuo padre,
non rifiutare l’insegnamento di tua madre.
21 Appendili sul tuo cuore per sempre, fissali intorno al tuo collo.
22 Quando tu ti muovi, essa ti conduce, quando riposi essa ti custodisce
e quando tu ti svegli ti saluta.
23 Il precetto è veramente una lampada, è luce l’insegnamento
e via della vita il rimprovero che corregge”, (Prov 6,20-23;
cf. 3,3: “Scrivile sulla tavola del tuo cuore”, e Giosuè 1,8).
Per mezzo dei proverbi degli antenati si impara la lingua, il ritmo gradevole di esporre le cose, la forza delle immagini, la logica ogni tanto ironica di una vita stupida o intelligente, e il modo di comportarsi con tutti, con i grandi della terra, a tavola, con le ricchezze, le donne, la prostituta, il ricco e il povero. La meditazione aiuta a distinguere, a scoprire la compagnia positiva, persino la mistica. Qoelet, Siracide, l’autore del libro della Sapienza, tutti sviluppano una metodologia coerente per vivere bene, dalla giovinezza fino alla vecchiaia, con la Sapienza, “sposa del saggio”, come dice Salomone.
In questi giorni fortunatamente ho trovato un testo che si trova a cavallo tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Si tratta di un frammento del Testamento dei Dodici Patriarchi, conservato in greco ma tradotto molto probabilmente da un originale aramaico. Il “Testamento di Levi” ha un brano che riassume bene ciò che abbiamo visto fino ad adesso, e aggiunge pure una dimensione non incontrata in modo così esplicito:
“Temete il Signore, vostro Dio, con tutto il vostro cuore e camminate nella semplicità, secondo tutta la sua Legge. Insegnate, anche voi, a leggere ai vostri figli, affinché abbiano l’intelligenza tutta la loro vita, leggendo continuamente la Legge di Dio. Perché chiunque conosce la Legge di Dio sarà rispettato
e non sarà mai più uno straniero ovunque vada.
In effetti, acquisterà molti amici aldilà dei suoi parenti...
Acquistate la sapienza nel timore di Dio.
La sapienza del saggio nessuno potrà rapirla...
Se qualcuno si guarda dalle opere malvagie,
la sua saggezza brillerà pure in mezzo ai suoi nemici,
in terra straniera troverà una patria
e pure presso il nemico sarà considerato come un amico” (TLevi 13,1-4.7-8).
L’applicazione alla Legge rende uno amichevole, pure in mezzo a stranieri e nemici!
Una parola o due, sul Nuovo Testamento. Il Nuovo Testamento può deludere il ricercatore. Manca il vocabolario della meditazione! Mai si trova la parola meletè o “meditazione” in greco. Una sola volta c’è il verbo meletân, e un’altra volta, in Luca, troviamo il verbo composto: promeletan, in latino praemeditari: “Non dovrete preparare il vostro discorso, la vostra apologia” davanti al tribunale perché “io vi darò parola e sapienza” (Lc 21,14s.).
L’unico passo che raggiunge un po’ ciò che stiamo ricercando, si trova in una lettera deutero-paolina:
“Fino alla mia venuta àpplicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento. Non trascurare il carisma che è in te e che ti fu dato per mezzo della profezia insieme all’imposizione delle mani dei presbiteri. Abbi premura di queste cose (tauta meleta), dedicati ad esse, affinché a tutti sia noto il tuo progresso. Attendi a te stesso e all’insegnamento: persevera in queste cose poiché, così facendo, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano” (1 Tm 4,13-16).
Se manca la parola, non manca però la realtà del meditare. C’è il bell’esempio citato da tutti: “Maria conservava tutte queste cose/eventi/parole nel suo cuore” (Lc 2,19.51, anche senza capire!). C’è pure il suo famoso cantico, il Magnificat che si presenta come un riassunto dei Salmi, dei Profeti e del Cantico della madre di Samuele, Hannah. Maria, cantando così, è la memoria del suo popolo e ricorda l’agire divino nella sua vita e in tutta la storia. Tutto in questo nuovo salmo parla solo di Dio. Anche per il suo sposo Giuseppe si potrebbe estendere una riflessione sulla qualità del suo silenzio. Non dice niente, mai, nei quattro vangeli ma ascolta, e segue immediatamente ciò che gli è detto di fare. Risponde nell’azione. E pronuncia solo il nome del figlio di Maria: Gesù, quello che salva nel nome del Signore, come gli aveva detto l’Angelo. Vita di un “esicasta”, si potrebbe dire: rivestito del mantello del silenzio, medita e mormora continuamente nel cuore il solo Nome salvifico.
D’altra parte, tanti passi delle lettere e pure del vangelo implicano una buona memoria delle sacre Scritture!
Paolo non ha percorso l’altopiano della Turchia di oggi con tutti i rotoli della Torah o dei Profeti sulle sue spalle! Cita tutto a memoria, anche i proverbi di Salomone (“Dio ama colui che dona con gioia”) e passi del tardo Isaia! L’esempio, il più eloquente della sua memoria creativa, sono i tre capitoli nella Lettera ai Romani : 9-11! Risponde alle domande terribili: “Dio avrebbe ripudiato il suo popolo?” Oppure “La Parola di Dio sarebbe venuta meno?” Percorre tutta la Bibbia, dalla Genesi al profeta Malachia, per rispondere a queste grandi domande. Mosè, Elia, Isaia vengono a testimoniare ciò che Dio pensa, desidera, intende fare, ecc. Stupenda riflessione appassionata su Dio grazie alla meditazione di tutt’una vita sulla Parola contenuta nella Legge e nei Profeti.
Ricordiamo pure La Lettera agli Ebrei o l’Apocalisse di Giovanni. Sono prodotti da grandi conoscitori della Bibbia intera. Paolo e gli altri conoscono pure la profondità di alcuni midrash o di letture targumiche: “è salito” come Mosè, “è disceso” come Giona, riempie tutto, sia per il popolo eletto, come faceva Mosè, sia per i pagani tutti, come nel caso di Giona!
Si vede anche tutti i passi della vita di Gesù che l’evangelista Matteo riesce a fondare su brani del Primo Testamento: Come sta scritto dal profeta... Questo suppone una scuola di lettura e di rilettura, con grande libertà associativa, ogni tanto provocatoria (come per il caso di Abramo con le due mogli, l’una essendo schiava, l’altra libera, e così pure i loro figli, in Galati 4). Suppone sempre la prassi della meditatio della Parola.
Possiamo scoprire una vera catena: leggere, memorizzare, ricordare, riflettere, rileggere con una creatività rabbinica, ogni tanto andando anche contro il senso ovvio. Leggiamo in Matteo 2 : “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto (oudamôs! “in nessun modo”!) la minima (elachistè) fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele" (Mt 2,6). L’evangelista non esita a cambiare il testo di Michea perché dopo la nascita del principe messianico non si può più dire: ‘Sei la più piccola!’, anche se sta scritto alla lettera in questo modo in Michea 5,1.3.
Rimane ciò che Luca indica come tipico per l’atteggiamento di Maria: anche senza capire, era capace di accogliere nel suo cuore parole ed eventi forti, essendo in questo atteggiamento un modello per il lettore del vangelo. Tutti i lettori e le lettrici che hanno iniziato la lettura del Vangelo lucano sono invitati, attraverso la figura di Maria, a registrare bene gli eventi iniziali della storia di Gesù per capire passo dopo passo ciò che avverrà di questo fanciullo.
In conclusione, l’intera ricerca ci ha permesso di incontrare diversi brani biblici eloquenti sulla meditazione. Leggere, rileggere, memorizzare, creare cose nuove con associazioni diverse, accettare di pensare insieme testi contraddittori, coltivare un silenzio puro senza commenti davanti al più grande o al più temibile, ecco le cose che si trovano scritte nella Bibbia, indicando il modo di frequentarla con sapienza, portando qualche profitto spirituale.
[1]Piccolo dettaglio : i Greci hanno tradotto cinque volte con meletè (“meditazione”, seguiti su questo punto dai Latini con meditatio) una parola ebraica (sha’ashu’im) che significa infatti “delizia”. Ci troviamo molto probabilmente davanti ad una comprensione erronea del testo originale. Tale errore si ritrova solo nel salmo 119(118), nei versetti 24.77.92.143.174 per il sostantivo e tre volte con il verbo “dilettarsi”, nei versetti 16.47 e 70).
(Benoit Standaert)