Letture
Bosch e un altro Rinascimento
Meno di un mese e si chiuderà la possibilità di vedere alcuni quadri di Bosch di passaggio a Milano: infatti la mostra “Bosch e un altro Rinascimento” avrà termina il 12 marzo. Occorre per onestà avvertire che il visitatore potrà ammirare solo cinque tavole del Maestro e dovrà scegliere con cura l’orario di visita per evitare di trovarsi assiepato fra tanti ammiratori dotati di cellulare e preoccupati solo di rapire qualche immagine da conservare nel proprio telefonino. Tuttavia vale la pena di non perdere questa occasione, anche perché la mostra è il frutto di ricerche approfondite del complesso contesto culturale a cavallo fra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento in cui Bosch si trovò a operare come pittore: essa presenta quadri coevi, incisioni e oggetti che consentono di ricostruire quel momento magico della cultura con documenti davvero interessanti e significativi. Sarebbe poi necessario leggere con attenzione le didascalie che accompagnano le opere e magari anche acquistare il catalogo che è disponibile a un costo davvero contenuto: in questo modo si avrà la possibilità di accostarsi a questa lettura non banale e per certi versi innovativa della produzione di Bosch.
|
Ma prima di proseguire nel mio saggio devo ora innanzitutto confessare al mio casuale lettore di essere stato nel paese dove Bosch nacque e passò quasi interamente la sua vita. Si trova nel Brabante, in una delle regioni fatate del mondo, il cui spirito rivive ancora nei racconti di Gérard de Nerval. Avvenne quando avevo solo venticinque anni.
Bosco Reale è il nome di questo paese: forse non era già più solo un bosco ai tempi in cui il pittore vi visse. Ma i luoghi conservano sempre tracce di coloro che li hanno attraversati, nella magia stessa del loro nome né sapevo rassegnarmi all’idea che non esistesse più nemmeno un solo quadro di Bosch nel suo paese natale. Probabilmente non è così ma le scarse cognizioni in mio possesso allora mi indirizzarono allora presso la Banca più importante del paese. Era assurdo che il Direttore della prestigiosa banca di ‘s-Hertogenbosch potesse perdere tempo con un importuno studente universitario: invece mi ricevette con la squisita amabilità che gli era propria e mi offrì caffè e dolci altrettanti memorabili, intavolando con me una conversazione in perfetto francese. (Il mio era naturalmente goffo e impacciato, ma almeno di sincera buona volontà). Ovviamente la conversazione si svolse nel suo ufficio privato, sopra la grande scrivania notai fin dall’inizio la piccola tavola del Maestro che ci osservava con simpatia. Forse i dolci e la sua ospitalità erano così memorabili che non conservo quasi ricordi di quella conversazione, se non nella percezione di una acuta fatica, quasi fisica, nel reggere in modo adeguato tale dialogo – eppure parlammo senza dubbio delle ragioni del mio viaggio nel Paesi Bassi, nella mia tesi di laurea, nel mio amore per la pittura e naturalmente del Maestro.
Essere lontano da casa e dalle solite abitudini ebbe un effetto strano: tornato dalla visita in Banca pranzai brevemente e, stanco anche per le fatiche del viaggio, andai in camera e riposarmi. Mi svegliai che era notte inoltrata: provai allora l’ebbrezza di girare nelle piccole vie di un paese medievale pressoché sconosciuto, infatti, ero arrivato solo la sera prima e appena trovata una camera di hotel mi ero sprofondato a letto. Ero di nuovo mosso da bisogni primari, dalla ricerca di un’osteria dove cenare eppure finii per smarrirmi nell’intrico di strade. Finché, di colpo, mi trovai davanti a una casa insolitamente alta che mi apparve subito strana: poi, avvicinandomi, mi resi conto che era solo una vecchia casa di più piani, coi soliti muri e assi di legno, solo che la parete che dava su quel lato della strada era perfettamente trasparente. Potevo vedere distintamente dentro la casa. E non sapevo dove guardare. La gente faceva solamente quello che era solita fare: in una stanza alcuni cenavano, in un’altra una coppia stava litigando, in un’altra si stavano accoppiando, in un’altra stavano giocando a carte, in un’altra guardando la televisione, in un’altra…
Così almeno mi apparve all’inizio – poi, guardando con maggiore attenzione, iniziai a vedere bene: nessuno degli abitanti di questa casa era propriamente e solamente umano, presentavano tutti tratti mescolati, umani e insieme animali vegetali minerali, eppure erano chiaramente viventi, totalmente assorti in ciò che facevano. Alcuni stavano forse torturando gli altri? Alcuni presentavano addirittura fattezze demoniache? Di colpo non ero più certo di quello che vedevo – o meglio, più continuavo a vedere più la mia ragione dubitava della verosimiglianza di quanto vedevo.
Non era affatto verosimile – ma era certamente Reale.
Dopo questa premessa che suona quasi come un racconto possiamo ora tornare, con maggiori cognizioni, alla proposta della mostra a Palazzo Reale: “Bosch e un altro Rinascimento” che risulta ancora più provocatoria. Di Bosch è stato detto tutto o quasi – una delle opinioni più accreditate è che sia il precursore dei Surrealisti. Come dubitarne di fronte a certe invenzioni che avrebbero fatto invidia a Lautréamont e Kafka?
Ma i più eruditi medievalisti certo ribattono che certe illustrazioni di quel tipo erano proprie già dei trattati medievali: in fondo lo stesso Dante divulga una variegata casistica di supplizi e pene di efferata efficacia. Guardando le tavole di Bosch si comincia a dubitare delle circostanze temporali: ci troviamo nel profondo medioevo oppure in qualche futuro distopico? Eppure leggete il saggio che accompagna questa mostra e soprattutto meditate sulla sua tesi di fondo: davvero il Rinascimento fu solamente e principalmente ciò che siamo abituati a pensarne? L’Uomo al centro dell’Universo: per fare un’affermazione così perentoria bisogna almeno essere certi che esista un tale centro. Potevano forse crederlo Aristotele Tommaso d’Aquino e Dante – guardando a lungo le tavole di Bosch ho veduto chiaramente che non esiste affatto un centro del quadro, nessuna possibilità di una prospettiva privilegiata sulle altre. Da quale vogliamo scegliere di guardare? Perché da un punto piuttosto che dall’altro?
Ho avuto questa percezione osservando a lungo il “Giudizio finale” proveniente dal museo di Brugge: è vero in alto c’è ancora un Cristo accompagnato da qualche presenza angelica ma ho finito anch’io per dimenticarmene, il mio sguardo è rimasto attirato e sedotto dalla solita miriade di oggetti fantastici e visioni che hanno fatto la fortuna del pittore in tutti i secoli a venire. Come avverte sagacemente il curatore della mostra nelle didascalie che la accompagnano, di questo giudizio finale il quadro si limita a un cenno distratto, esprime invece con toni violenti e grotteschi la condanna inappellabile dell’umanità presente. La mia mente è andata spontaneamente a un’opera forse altrettanto celebre “L’entrata di Cristo a Bruxelles” dipinta da James Ensor nel 1889: in questa stupenda mescolanza di colori e di tratti, altrettanto amari e grotteschi di quelli praticati dal nostro Bosch, sfido l’osservatore tenace a trovare la figura del Cristo, letteralmente sommersa da una accozzaglia di personaggi ai limiti estremi dell’animalesco. E forse crediamo legittimo affermare che le tante creature che popolano questi infiniti universi, appartengano al mondo minerale, vegetale, animale? Che cosa è il Rinascimento?
Mi viene da portare alle estreme conseguenze la tesi di fondo dei curatori della mostra: se riflettiamo come la cultura rinascimentale nutrì la mentalità della rivoluzione scientifica (tralasciando anche il fatto che Copernico credeva semplicemente di mettere il sole al centro dell’universo invece della terra e non sospettava certo le tesi ardite di Bruno secondo le quali l’Universo non avrebbe potuto più avere un centro, ma piuttosto esistono mille diecimila universi – proprio come in un sūtra buddista), mi viene da chiedermi piuttosto se non è proprio questa l’intuizione straordinaria di Bosch che ancora oggi ci può parlare direttamente – il mondo di Bosch è già il mondo multiforme, variegato, un mondo che contiene al suo interno inesauribili infiniti mondi. Non desidero procedere oltre: i quadri, a qualsiasi epoca appartengano, devono essere prima di tutto osservati a fondo e solo dopo averlo fatto con severa attenzione, si può iniziare a parlarne. Invito dunque volentieri il visitatore a questa mostra. Se mai, dopo questa visione, concludo il mio contributo senza pretendere, volutamente, di spaziare sulla produzione completa di questo pittore e limitandomi a qualche considerazione su due opere entrambi presenti in mostra: il Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio proveniente dal museo di arte antica di Lisboa e la piccola tavola dal medesimo titolo con le dimensioni 53x72 che si trova al Prado. Nel trittico vediamo il povero santo attorniato da un diluvio di visioni angoscianti e aberranti sebbene ancora contenute nei limiti della decenza, mentre nel Trittico dei santi eremiti conservato alle gallerie dell’Accademia a Venezia il povero sant’Antonio si trova direttamente davanti una lussuriosa donna nuda. Nel trittico di Lisboa invece la donna è elegantemente vestita e pare sussurrare direttamente nell’orecchio del santo qualche proposta indecente. Davvero il campione della meditazione cristiana sta passando un pessimo quarto d’ora, circondato da queste presenze negative, difficile dire se siano peggiori le figure che mescolano tratti animali e non a quelle che soltanto esasperano le caratteristiche goffe e mostruose dei semplici esseri umani! Davvero rischiamo di essere sopraffatti dalla disperazione: il percorso della meditazione nel deserto conduce a ritrovarsi in simile compagnia? Mi sono venute in mente certe rappresentazioni buddiste, soprattutto di tradizione tibetana: in esse però l’intento è chiaramente catartico e la rappresentazione dei demoni ha la funzione precisa di irrobustire il meditante e di allontanare da lui le tentazioni pericolose intrinseche alla sua natura umana. Ma qui in Bosch? Se come dicevo all’inizio ogni centro è smarrito nell’universo rappresentativo del pittore brabantino, chi ci assicura che il povero Antonio riuscirà a trionfare del mondo perverso e negativo che reca nel suo inconscio? Per cui sono felice della presenza in mostra anche del piccolo quadro che si trova al Prado e che rischia quasi di passare in secondo piano di fronte alla superba creatività profusa dal Maestro nel trittico. Sono rimasto a lungo incantato davanti a questa opera.
Qui, infine, Sant’Antonio è raffigurato come il prototipo del meditante. Mostra lo sguardo vigile e assorto che dovrebbe essere raggiunto da ogni autentico cercatore della Verità. Immerso per la prima volta in un paesaggio meridiano, in un gioco sereno di boschi, colli, campi in cui prevalgono i toni pacificatori del verde e dell’ocra, con un cielo poco appariscente ma almeno innegabilmente azzurro, il santo non si trova certo al centro del quadro che, comunque non ha un centro, ma risulta, se non altro, il protagonista di questa visione. Non appaiono più oscenità né visione demoniache: ci sono ancora le creazioni stravaganti dell’inconfondibile pittore, ma con un ritmo contenuto e non privo di grazia, presenze in cui si mescolano caratteristiche oggettuali e membra animali, ma nessuna di esse pare più impensierire il Santo, che, a occhi aperti e attenti, sta osservando il mondo così com’è. Accanto a lui l’animale che è diventato il suo simbolo: ma anche questo porcellino sdraiato mostra una postura nobile quanto quella del santo.
L’animale rappresenta senza alcun dubbio la nostra origine ancestrale, senza bisogno di pensare già alla teoria evolutiva di Darwin: la memoria delle nostre esistenze precedenti include anche quelle rappresentazioni. La tematica dell’animale mi riporta di nuovo a Lautréamont: nel profondo saggio che Bachelard è dedicato proprio a questo autore vengono svolte suggestive considerazioni in questo senso che sarei tentato di approfondire. Non voglio però uscire dal tema e le riservo a qualche altra occasione. Ciò che conta in questo saggio è sottolineare che queste presenze animali oppure oggettuali non disturbano il Santo e la sua postura: se pensiamo che esse rappresentino i vissuti psicologici interne della sua anima possiamo asserire che tali vissuti appaiono ora perfettamente pacificati. Il logos presente nella creatura umana ha vinto sul resto, senza bisogno di negare nulla: tutto è ricomposto nella postura armonica di questo meditante. Che cosa può osservare ora, con uno sguardo interamente trasparente? Non lo sappiamo – ma se davvero nutrissimo in noi la sincera aspirazione a fare esperienza della sua visione di quiete – allora è tempo anche per noi di iniziare con rinnovata decisione la nostra Via di meditanti.
(Sergio Gandini)
Bosco Reale è il nome di questo paese: forse non era già più solo un bosco ai tempi in cui il pittore vi visse. Ma i luoghi conservano sempre tracce di coloro che li hanno attraversati, nella magia stessa del loro nome né sapevo rassegnarmi all’idea che non esistesse più nemmeno un solo quadro di Bosch nel suo paese natale. Probabilmente non è così ma le scarse cognizioni in mio possesso allora mi indirizzarono allora presso la Banca più importante del paese. Era assurdo che il Direttore della prestigiosa banca di ‘s-Hertogenbosch potesse perdere tempo con un importuno studente universitario: invece mi ricevette con la squisita amabilità che gli era propria e mi offrì caffè e dolci altrettanti memorabili, intavolando con me una conversazione in perfetto francese. (Il mio era naturalmente goffo e impacciato, ma almeno di sincera buona volontà). Ovviamente la conversazione si svolse nel suo ufficio privato, sopra la grande scrivania notai fin dall’inizio la piccola tavola del Maestro che ci osservava con simpatia. Forse i dolci e la sua ospitalità erano così memorabili che non conservo quasi ricordi di quella conversazione, se non nella percezione di una acuta fatica, quasi fisica, nel reggere in modo adeguato tale dialogo – eppure parlammo senza dubbio delle ragioni del mio viaggio nel Paesi Bassi, nella mia tesi di laurea, nel mio amore per la pittura e naturalmente del Maestro.
Essere lontano da casa e dalle solite abitudini ebbe un effetto strano: tornato dalla visita in Banca pranzai brevemente e, stanco anche per le fatiche del viaggio, andai in camera e riposarmi. Mi svegliai che era notte inoltrata: provai allora l’ebbrezza di girare nelle piccole vie di un paese medievale pressoché sconosciuto, infatti, ero arrivato solo la sera prima e appena trovata una camera di hotel mi ero sprofondato a letto. Ero di nuovo mosso da bisogni primari, dalla ricerca di un’osteria dove cenare eppure finii per smarrirmi nell’intrico di strade. Finché, di colpo, mi trovai davanti a una casa insolitamente alta che mi apparve subito strana: poi, avvicinandomi, mi resi conto che era solo una vecchia casa di più piani, coi soliti muri e assi di legno, solo che la parete che dava su quel lato della strada era perfettamente trasparente. Potevo vedere distintamente dentro la casa. E non sapevo dove guardare. La gente faceva solamente quello che era solita fare: in una stanza alcuni cenavano, in un’altra una coppia stava litigando, in un’altra si stavano accoppiando, in un’altra stavano giocando a carte, in un’altra guardando la televisione, in un’altra…
Così almeno mi apparve all’inizio – poi, guardando con maggiore attenzione, iniziai a vedere bene: nessuno degli abitanti di questa casa era propriamente e solamente umano, presentavano tutti tratti mescolati, umani e insieme animali vegetali minerali, eppure erano chiaramente viventi, totalmente assorti in ciò che facevano. Alcuni stavano forse torturando gli altri? Alcuni presentavano addirittura fattezze demoniache? Di colpo non ero più certo di quello che vedevo – o meglio, più continuavo a vedere più la mia ragione dubitava della verosimiglianza di quanto vedevo.
Non era affatto verosimile – ma era certamente Reale.
Dopo questa premessa che suona quasi come un racconto possiamo ora tornare, con maggiori cognizioni, alla proposta della mostra a Palazzo Reale: “Bosch e un altro Rinascimento” che risulta ancora più provocatoria. Di Bosch è stato detto tutto o quasi – una delle opinioni più accreditate è che sia il precursore dei Surrealisti. Come dubitarne di fronte a certe invenzioni che avrebbero fatto invidia a Lautréamont e Kafka?
Ma i più eruditi medievalisti certo ribattono che certe illustrazioni di quel tipo erano proprie già dei trattati medievali: in fondo lo stesso Dante divulga una variegata casistica di supplizi e pene di efferata efficacia. Guardando le tavole di Bosch si comincia a dubitare delle circostanze temporali: ci troviamo nel profondo medioevo oppure in qualche futuro distopico? Eppure leggete il saggio che accompagna questa mostra e soprattutto meditate sulla sua tesi di fondo: davvero il Rinascimento fu solamente e principalmente ciò che siamo abituati a pensarne? L’Uomo al centro dell’Universo: per fare un’affermazione così perentoria bisogna almeno essere certi che esista un tale centro. Potevano forse crederlo Aristotele Tommaso d’Aquino e Dante – guardando a lungo le tavole di Bosch ho veduto chiaramente che non esiste affatto un centro del quadro, nessuna possibilità di una prospettiva privilegiata sulle altre. Da quale vogliamo scegliere di guardare? Perché da un punto piuttosto che dall’altro?
Ho avuto questa percezione osservando a lungo il “Giudizio finale” proveniente dal museo di Brugge: è vero in alto c’è ancora un Cristo accompagnato da qualche presenza angelica ma ho finito anch’io per dimenticarmene, il mio sguardo è rimasto attirato e sedotto dalla solita miriade di oggetti fantastici e visioni che hanno fatto la fortuna del pittore in tutti i secoli a venire. Come avverte sagacemente il curatore della mostra nelle didascalie che la accompagnano, di questo giudizio finale il quadro si limita a un cenno distratto, esprime invece con toni violenti e grotteschi la condanna inappellabile dell’umanità presente. La mia mente è andata spontaneamente a un’opera forse altrettanto celebre “L’entrata di Cristo a Bruxelles” dipinta da James Ensor nel 1889: in questa stupenda mescolanza di colori e di tratti, altrettanto amari e grotteschi di quelli praticati dal nostro Bosch, sfido l’osservatore tenace a trovare la figura del Cristo, letteralmente sommersa da una accozzaglia di personaggi ai limiti estremi dell’animalesco. E forse crediamo legittimo affermare che le tante creature che popolano questi infiniti universi, appartengano al mondo minerale, vegetale, animale? Che cosa è il Rinascimento?
Mi viene da portare alle estreme conseguenze la tesi di fondo dei curatori della mostra: se riflettiamo come la cultura rinascimentale nutrì la mentalità della rivoluzione scientifica (tralasciando anche il fatto che Copernico credeva semplicemente di mettere il sole al centro dell’universo invece della terra e non sospettava certo le tesi ardite di Bruno secondo le quali l’Universo non avrebbe potuto più avere un centro, ma piuttosto esistono mille diecimila universi – proprio come in un sūtra buddista), mi viene da chiedermi piuttosto se non è proprio questa l’intuizione straordinaria di Bosch che ancora oggi ci può parlare direttamente – il mondo di Bosch è già il mondo multiforme, variegato, un mondo che contiene al suo interno inesauribili infiniti mondi. Non desidero procedere oltre: i quadri, a qualsiasi epoca appartengano, devono essere prima di tutto osservati a fondo e solo dopo averlo fatto con severa attenzione, si può iniziare a parlarne. Invito dunque volentieri il visitatore a questa mostra. Se mai, dopo questa visione, concludo il mio contributo senza pretendere, volutamente, di spaziare sulla produzione completa di questo pittore e limitandomi a qualche considerazione su due opere entrambi presenti in mostra: il Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio proveniente dal museo di arte antica di Lisboa e la piccola tavola dal medesimo titolo con le dimensioni 53x72 che si trova al Prado. Nel trittico vediamo il povero santo attorniato da un diluvio di visioni angoscianti e aberranti sebbene ancora contenute nei limiti della decenza, mentre nel Trittico dei santi eremiti conservato alle gallerie dell’Accademia a Venezia il povero sant’Antonio si trova direttamente davanti una lussuriosa donna nuda. Nel trittico di Lisboa invece la donna è elegantemente vestita e pare sussurrare direttamente nell’orecchio del santo qualche proposta indecente. Davvero il campione della meditazione cristiana sta passando un pessimo quarto d’ora, circondato da queste presenze negative, difficile dire se siano peggiori le figure che mescolano tratti animali e non a quelle che soltanto esasperano le caratteristiche goffe e mostruose dei semplici esseri umani! Davvero rischiamo di essere sopraffatti dalla disperazione: il percorso della meditazione nel deserto conduce a ritrovarsi in simile compagnia? Mi sono venute in mente certe rappresentazioni buddiste, soprattutto di tradizione tibetana: in esse però l’intento è chiaramente catartico e la rappresentazione dei demoni ha la funzione precisa di irrobustire il meditante e di allontanare da lui le tentazioni pericolose intrinseche alla sua natura umana. Ma qui in Bosch? Se come dicevo all’inizio ogni centro è smarrito nell’universo rappresentativo del pittore brabantino, chi ci assicura che il povero Antonio riuscirà a trionfare del mondo perverso e negativo che reca nel suo inconscio? Per cui sono felice della presenza in mostra anche del piccolo quadro che si trova al Prado e che rischia quasi di passare in secondo piano di fronte alla superba creatività profusa dal Maestro nel trittico. Sono rimasto a lungo incantato davanti a questa opera.
Qui, infine, Sant’Antonio è raffigurato come il prototipo del meditante. Mostra lo sguardo vigile e assorto che dovrebbe essere raggiunto da ogni autentico cercatore della Verità. Immerso per la prima volta in un paesaggio meridiano, in un gioco sereno di boschi, colli, campi in cui prevalgono i toni pacificatori del verde e dell’ocra, con un cielo poco appariscente ma almeno innegabilmente azzurro, il santo non si trova certo al centro del quadro che, comunque non ha un centro, ma risulta, se non altro, il protagonista di questa visione. Non appaiono più oscenità né visione demoniache: ci sono ancora le creazioni stravaganti dell’inconfondibile pittore, ma con un ritmo contenuto e non privo di grazia, presenze in cui si mescolano caratteristiche oggettuali e membra animali, ma nessuna di esse pare più impensierire il Santo, che, a occhi aperti e attenti, sta osservando il mondo così com’è. Accanto a lui l’animale che è diventato il suo simbolo: ma anche questo porcellino sdraiato mostra una postura nobile quanto quella del santo.
L’animale rappresenta senza alcun dubbio la nostra origine ancestrale, senza bisogno di pensare già alla teoria evolutiva di Darwin: la memoria delle nostre esistenze precedenti include anche quelle rappresentazioni. La tematica dell’animale mi riporta di nuovo a Lautréamont: nel profondo saggio che Bachelard è dedicato proprio a questo autore vengono svolte suggestive considerazioni in questo senso che sarei tentato di approfondire. Non voglio però uscire dal tema e le riservo a qualche altra occasione. Ciò che conta in questo saggio è sottolineare che queste presenze animali oppure oggettuali non disturbano il Santo e la sua postura: se pensiamo che esse rappresentino i vissuti psicologici interne della sua anima possiamo asserire che tali vissuti appaiono ora perfettamente pacificati. Il logos presente nella creatura umana ha vinto sul resto, senza bisogno di negare nulla: tutto è ricomposto nella postura armonica di questo meditante. Che cosa può osservare ora, con uno sguardo interamente trasparente? Non lo sappiamo – ma se davvero nutrissimo in noi la sincera aspirazione a fare esperienza della sua visione di quiete – allora è tempo anche per noi di iniziare con rinnovata decisione la nostra Via di meditanti.
(Sergio Gandini)