Letture
Byung-Chul Han. Un percorso di lettura
Parte II. La Cosa e il Rito
Parte II. La Cosa e il Rito
Il profumo del tempo e Le non cose
Il saggio Il profumo del tempo può essere letto come una continuazione della riflessione di Heidegger sulla cosa. Sottolineando il valore di potenza capace di strutturare lo spazio della cosa, Byung-Chul Han mette in luce come questa fa divenire lo spazio un luogo abitabile. Le cose hanno il potere di stabilizzare lo spazio di vita degli uomini dando una dimora accogliente alla loro attenzione e al loro sguardo. La cosa struttura lo spazio generando stabilità, solidità, durata; è il supporto indispensabile per l’indugiare contemplativo: strutturando lo spazio crea un supporto per l’attenzione prolungata. Lo spazio ‘’strutturato’’ dalla cosa diventa il contenitore capace di contenere l’attenzione in modo che questa si addensi e si faccia concentrazione e contemplazione. |
Nella sezione intitolata ‘’La mano di Heidegger’’ del saggio Le non cose, Byung-Chul Han torna sul tema della cosa heideggeriana approfondendo la riflessione aperta nel capitolo ‘’L’odore della quercia’’ de Il profumo del tempo. In questa sezione l’autore sottolinea come la prima qualità della cosa sia l’affidabilità che consiste ‘’nel fatto che essa (la cosa nda) immerge le persone in quelle relazioni col mondo capaci di offrire un appiglio’’. Ecco che emerge la potenza della cosa come agente che mette in relazione con il grande mondo e che struttura lo spazio, trasformandolo in un luogo abitabile. La cosa ci riconnette con la misura interiore della terra, i ritmi terrestri e ci rende nuovamente umili, ovvero nativi terrestri. L’uomo non ha che da approvare, cioè accettare e benedire, sorridendo a questa misura e abbracciando questi ritmi.
Il potere strutturante delle cose genera il fenomeno della fatticità. Questo è un concetto centrale nel saggio Il profumo del tempo. La fatticità è un’atmosfera di stabilità che condiziona chi la abita situandolo in un luogo (lo spazio delle cose), in un certo modo plasmandone l’apertura e lo sguardo sul mondo. Le cose hanno un’autorità di fronte all’abitante del luogo, in qualche modo lo precedono e non sono poste in questione o messe in dubbio.
Con il processo moderno di defatticizzazione la cosa si fa più oggetto trasformabile dalla mano che cosa contemplata dallo sguardo. Il mondo perde la stabilità e solidità della Terra per farsi flusso in divenire, in cui tutto può essere trasformato. Il processo di defatticizzazione viene accelerato nell’era digitale in cui schermi, altoparlanti e altri dispositivi immergono l’attenzione nel flusso informativo. Le cose stesse vengono informatizzate (internet delle cose) divenendo infomi ovvero ‘’agenti che elaborano informazioni’’ accelerando così il processo di defatticizzazione del mondo che viene sempre più ridotto a flusso informativo.
Lo spazio delle non-cose, ovvero degli infomi e del flusso informativo, è uno spazio destrutturato, liquido e perciò instabile, inabitabile, disumanizzante e favorevole a processi di degenerazione dell’attenzione; abolendo l’attenzione profonda dei contemplativi favorisce l’iperattenzione degli iperattivi multitasker. Il flusso informativo defatticizzante degli schermi e degli altoparlanti, in cui l’attenzione è immersa, genera la dispersione dell’attenzione. La vita perde profondità e non si colgono più certe atmosfere o risonanze sottili del vivere. La noia è il sentimento della defatticizzazione. Si perde l’accesso al profumo del tempo.
(Per approfondire il tema della fatticità vedi il capitolo ‘’L’odore della quercia’’, pp.81-90 e ‘’La noia profonda’’, pp. 91-97 de Il profumo del tempo; vedi il capitolo ‘’Dalla cosa alla non-cosa’’, pp. 6-19 de Le non cose)
Nell’esperienza quotidiana l’occhio, indugiando sulla cosa, fa esperienza di un qualcosa che fa resistenza, nella sua tridimensionalità, al suo raggio oculare. La cosa, in qualche modo, chiede di essere avvolta dall’abbraccio dello sguardo e radica chi guarda nella sua carne. Non accade lo stesso allo sguardo di fronte ad uno schermo, in quel caso, lo sguardo perde intensità non trovando il nutrimento di una cosa vivente e corporea di fronte a lui; si impoverisce l’esperienza somatica e sensoriale della persona. Non potendo instaurare questo dialogo silenzioso, lo sguardo di fronte allo schermo si affatica e sente, in qualche modo, la nostalgia della tridimensionalità corporea della cosa.
Ma c’è sempre un’alternativa, i poeti cinesi dello zen sono qui le nostre guide per uscire dall’inferno della superficialità informativa e informatica indicandoci un altro modo di stare al mondo.
Assaporare, potrebbe essere la parola chiave per aprire la porta del mondo profumato. Ogni momento ha la sua atmosfera che possiamo gustare nella sua unicità e irripetibilità. Ogni momento è compiuto in sé, ha la sua grazia. Noi possiamo affinare l’attenzione e svuotare la mente dalle formazioni mentali negative ed apprezzare, il profumo del tempo. Il profumo è una tonalità spazio-temporale. Il tempo dura spazializzandosi, grazie al potere strutturante della cosa contemplata.
(Per approfondire il tema del profumo del tempo vedi il capitolo ‘’L’orologio profumato: un excursus nell’antica Cina’’, pp.65-69 de Il profumo del tempo)
La scomparsa dei riti
Così come la cosa struttura lo spazio, influenzando anche la percezione della temporalità, il rito struttura il tempo. La cosa e il rito sono la trama e l’ordito dell’abitare e vivere umano. Creano il cosmo spazio-temporale in cui l’uomo può vivere con agio. Con le parole del filosofo coreano, ‘’i riti sono tecniche temporali di accasamento. Fanno dell’essere-nel-mondo un essere-a-casa. Sono nel tempo ciò che le cose sono nello spazio. Essi stabilizzano la vita strutturando il tempo. Sono architetture di tempo: rendono il tempo abitabile, calpestabile come una casa’’.
I riti inoltre creano assi di risonanza stabili con il mondo, aprono all’esperienza risonante. Se le cose strutturano lo spazio fisico i riti strutturano, in questo caso, uno spazio sottile o meta-fisico. L’asse verticale di risonanza connette con la dimensione divina e cosmica, l’asse orizzontale con gli altri uomini, l’asse diagonale con le cose del mondo. Accedere a questo spazio di risonanza sottile con il mondo o con i microcosmi che compongo il macrocosmo è una ricetta di felicità e di liberazione dal narcisismo in cui racchiudono la performance e l’iperattenzione.
L’esperienza del rito è per sua natura ripetibile, capace con ogni ripetizione di accrescersi in profondità e intensità. Nell’azione rituale si radunano passato, presente e futuro creando un’esperienza integrale del tempo. Nel rito si mette in atto la percezione simbolica che apre alla durata del tempo profondo e alla possibilità di stare o indugiare, con i termini del filosofo, in uno stato in cui l’esperienza si fa intensa e fortemente significativa, la cui profondità e intensità sono sempre approfondibili.
L’attenzione profonda è la qualità di apertura al mondo propria della vita contemplativa, ‘’in quanto tecnica culturale, si costruisce proprio a partire dalle pratiche rituali e religiose. Non è un caso che la parola religione derivi da relegere, prendere nota. Ogni pratica religiosa è un esercizio d’attenzione, e il tempio è un luogo di profonda attenzione’’. Ecco che il rito costituisce quella struttura temporale in cui l’attenzione, per così dire, può essere allevata e cresciuta in modo che diventi profonda e aperta ad un senso profondo e vibrante della vita.
All’opposto troviamo la percezione seriale coltivata nel mondo digitale. Questa è additiva, ‘’non conosce quiete, disimpara a indugiare’’. Alla percezione seriale, sempre in cerca della novità da aggiungere al già noto, corrisponde un’attenzione piatta capace di muoversi solo nella dimensione orizzontale, non risonante, della rete digitale e della vita iperattiva, ‘’nulla vi spicca e nulla si approfondisce’’. Questo modo di vivere ha perso l’esperienza della risonanza propria dell’attenzione profonda.
Il vivere in risonanza verticale, orizzontale e diagonale genera un ritmo di vita armonioso e apre alla felicità. Questo accade quando si dismette l’iperattività trasformativa per aprirsi al riposo contemplativo come attitudine primaria dell’esistenza. Il riposo del non-fare approva e benedice la misura interiore della terra e i suoi ritmi, umilmente. Il riposo festivo come la stanchezza fondamentale sono disposizioni d’animo che risvegliano un particolare ritmo del vivere che conduce ad un’armonia, a una prossimità, ad una vicinanza assenti nel mondo monotono e apatico della performance, dell’iperattività, della percezione seriale e dell’attenzione piatta rendendo il vivere nuovamente un’esperienza felice.
Il riposo come atteggiamento fondamentale implica l’inclusione nel proprio vivere di una dimensione di compimento già nel cammino ancora in corso della propria vita. Il riposo non è un riposo-da l’attività lavorativa, quindi subordinato alla funzione primaria del lavoro; bensì un riposo-per (celebrare), una condizione fondamentale dell’animo che apre all’esperienza profonda della vita. Il riposo silenzioso è il cuore pulsante del rito.
(Per approfondire il tema della relazione tra rito, attenzione profonda ed esperienza risonante vedi il capitolo ‘’Coazione a produrre’’, pp. 11-27; per approfondire il tema del riposo vedi il capitolo ‘’Festa e religione’’, pp. 53-65 de La scomparsa dei riti).
(Lapo Chittaro)
Il potere strutturante delle cose genera il fenomeno della fatticità. Questo è un concetto centrale nel saggio Il profumo del tempo. La fatticità è un’atmosfera di stabilità che condiziona chi la abita situandolo in un luogo (lo spazio delle cose), in un certo modo plasmandone l’apertura e lo sguardo sul mondo. Le cose hanno un’autorità di fronte all’abitante del luogo, in qualche modo lo precedono e non sono poste in questione o messe in dubbio.
Con il processo moderno di defatticizzazione la cosa si fa più oggetto trasformabile dalla mano che cosa contemplata dallo sguardo. Il mondo perde la stabilità e solidità della Terra per farsi flusso in divenire, in cui tutto può essere trasformato. Il processo di defatticizzazione viene accelerato nell’era digitale in cui schermi, altoparlanti e altri dispositivi immergono l’attenzione nel flusso informativo. Le cose stesse vengono informatizzate (internet delle cose) divenendo infomi ovvero ‘’agenti che elaborano informazioni’’ accelerando così il processo di defatticizzazione del mondo che viene sempre più ridotto a flusso informativo.
Lo spazio delle non-cose, ovvero degli infomi e del flusso informativo, è uno spazio destrutturato, liquido e perciò instabile, inabitabile, disumanizzante e favorevole a processi di degenerazione dell’attenzione; abolendo l’attenzione profonda dei contemplativi favorisce l’iperattenzione degli iperattivi multitasker. Il flusso informativo defatticizzante degli schermi e degli altoparlanti, in cui l’attenzione è immersa, genera la dispersione dell’attenzione. La vita perde profondità e non si colgono più certe atmosfere o risonanze sottili del vivere. La noia è il sentimento della defatticizzazione. Si perde l’accesso al profumo del tempo.
(Per approfondire il tema della fatticità vedi il capitolo ‘’L’odore della quercia’’, pp.81-90 e ‘’La noia profonda’’, pp. 91-97 de Il profumo del tempo; vedi il capitolo ‘’Dalla cosa alla non-cosa’’, pp. 6-19 de Le non cose)
Nell’esperienza quotidiana l’occhio, indugiando sulla cosa, fa esperienza di un qualcosa che fa resistenza, nella sua tridimensionalità, al suo raggio oculare. La cosa, in qualche modo, chiede di essere avvolta dall’abbraccio dello sguardo e radica chi guarda nella sua carne. Non accade lo stesso allo sguardo di fronte ad uno schermo, in quel caso, lo sguardo perde intensità non trovando il nutrimento di una cosa vivente e corporea di fronte a lui; si impoverisce l’esperienza somatica e sensoriale della persona. Non potendo instaurare questo dialogo silenzioso, lo sguardo di fronte allo schermo si affatica e sente, in qualche modo, la nostalgia della tridimensionalità corporea della cosa.
Ma c’è sempre un’alternativa, i poeti cinesi dello zen sono qui le nostre guide per uscire dall’inferno della superficialità informativa e informatica indicandoci un altro modo di stare al mondo.
Assaporare, potrebbe essere la parola chiave per aprire la porta del mondo profumato. Ogni momento ha la sua atmosfera che possiamo gustare nella sua unicità e irripetibilità. Ogni momento è compiuto in sé, ha la sua grazia. Noi possiamo affinare l’attenzione e svuotare la mente dalle formazioni mentali negative ed apprezzare, il profumo del tempo. Il profumo è una tonalità spazio-temporale. Il tempo dura spazializzandosi, grazie al potere strutturante della cosa contemplata.
(Per approfondire il tema del profumo del tempo vedi il capitolo ‘’L’orologio profumato: un excursus nell’antica Cina’’, pp.65-69 de Il profumo del tempo)
La scomparsa dei riti
Così come la cosa struttura lo spazio, influenzando anche la percezione della temporalità, il rito struttura il tempo. La cosa e il rito sono la trama e l’ordito dell’abitare e vivere umano. Creano il cosmo spazio-temporale in cui l’uomo può vivere con agio. Con le parole del filosofo coreano, ‘’i riti sono tecniche temporali di accasamento. Fanno dell’essere-nel-mondo un essere-a-casa. Sono nel tempo ciò che le cose sono nello spazio. Essi stabilizzano la vita strutturando il tempo. Sono architetture di tempo: rendono il tempo abitabile, calpestabile come una casa’’.
I riti inoltre creano assi di risonanza stabili con il mondo, aprono all’esperienza risonante. Se le cose strutturano lo spazio fisico i riti strutturano, in questo caso, uno spazio sottile o meta-fisico. L’asse verticale di risonanza connette con la dimensione divina e cosmica, l’asse orizzontale con gli altri uomini, l’asse diagonale con le cose del mondo. Accedere a questo spazio di risonanza sottile con il mondo o con i microcosmi che compongo il macrocosmo è una ricetta di felicità e di liberazione dal narcisismo in cui racchiudono la performance e l’iperattenzione.
L’esperienza del rito è per sua natura ripetibile, capace con ogni ripetizione di accrescersi in profondità e intensità. Nell’azione rituale si radunano passato, presente e futuro creando un’esperienza integrale del tempo. Nel rito si mette in atto la percezione simbolica che apre alla durata del tempo profondo e alla possibilità di stare o indugiare, con i termini del filosofo, in uno stato in cui l’esperienza si fa intensa e fortemente significativa, la cui profondità e intensità sono sempre approfondibili.
L’attenzione profonda è la qualità di apertura al mondo propria della vita contemplativa, ‘’in quanto tecnica culturale, si costruisce proprio a partire dalle pratiche rituali e religiose. Non è un caso che la parola religione derivi da relegere, prendere nota. Ogni pratica religiosa è un esercizio d’attenzione, e il tempio è un luogo di profonda attenzione’’. Ecco che il rito costituisce quella struttura temporale in cui l’attenzione, per così dire, può essere allevata e cresciuta in modo che diventi profonda e aperta ad un senso profondo e vibrante della vita.
All’opposto troviamo la percezione seriale coltivata nel mondo digitale. Questa è additiva, ‘’non conosce quiete, disimpara a indugiare’’. Alla percezione seriale, sempre in cerca della novità da aggiungere al già noto, corrisponde un’attenzione piatta capace di muoversi solo nella dimensione orizzontale, non risonante, della rete digitale e della vita iperattiva, ‘’nulla vi spicca e nulla si approfondisce’’. Questo modo di vivere ha perso l’esperienza della risonanza propria dell’attenzione profonda.
Il vivere in risonanza verticale, orizzontale e diagonale genera un ritmo di vita armonioso e apre alla felicità. Questo accade quando si dismette l’iperattività trasformativa per aprirsi al riposo contemplativo come attitudine primaria dell’esistenza. Il riposo del non-fare approva e benedice la misura interiore della terra e i suoi ritmi, umilmente. Il riposo festivo come la stanchezza fondamentale sono disposizioni d’animo che risvegliano un particolare ritmo del vivere che conduce ad un’armonia, a una prossimità, ad una vicinanza assenti nel mondo monotono e apatico della performance, dell’iperattività, della percezione seriale e dell’attenzione piatta rendendo il vivere nuovamente un’esperienza felice.
Il riposo come atteggiamento fondamentale implica l’inclusione nel proprio vivere di una dimensione di compimento già nel cammino ancora in corso della propria vita. Il riposo non è un riposo-da l’attività lavorativa, quindi subordinato alla funzione primaria del lavoro; bensì un riposo-per (celebrare), una condizione fondamentale dell’animo che apre all’esperienza profonda della vita. Il riposo silenzioso è il cuore pulsante del rito.
(Per approfondire il tema della relazione tra rito, attenzione profonda ed esperienza risonante vedi il capitolo ‘’Coazione a produrre’’, pp. 11-27; per approfondire il tema del riposo vedi il capitolo ‘’Festa e religione’’, pp. 53-65 de La scomparsa dei riti).
(Lapo Chittaro)