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Parchi. Istruzioni per l’uso
Camminare nel paesaggio
Camminare nel paesaggio
Sono venuto qui al parco anche questa settimana.
Questa volta l’intenzione era correre, volevo provare a rimettermi al passo con i ritmi del mondo produttivo. Poi però, sceso dalla bicicletta, trovandomi circondato dalla solidità dei tronchi d’albero e accolto dal verde brillante delle chiome, un desiderio più profondo ha preso impercettibilmente il sopravvento sul mio proposito un po' posticcio. |
Ad ogni passo, lento sento la mia sensibilità, il mio atteggiamento interiore cedere a questa più profonda aspirazione; forse posso rimandare il proposito, posso accantonare la decisione di produrmi in una corsa. Il parco accoglie questa mia rinnovata disposizione interiore con una tenue esultanza in forma di tappeto di foglie, di un giallo che ha appena abbandonato il suo essere verde e ne conserva ancora qualche sfumatura, un giallo vivace sorride. In effetti le chiome non sono solo brillanti di verde, con lui brilla il giallo fino a declinare nel riposo del marrone, siamo in autunno.
Mi muovo, armonizzo i miei passi all’ispirazione e all’espirazione. Sento la compagnia del vento, mi rende molto più consapevole dell’aria in cui sono costantemente immerso. Ogni respiro è un’occasione di intimo contatto con l’aria. Gli alberi la donano, il vento me la consegna, cosa posso chiedere di più? Sento la gioia di cui mi nutre il parco ad ogni ispirazione. Questo è il mio sobrio baccanale.
Continuo a muovere i miei passi, più procedo più cedo alla lentezza del ritmo del parco. Mi inoltro sul sentiero battuto, la linea retta si allontana nel ricordo; le forme non le obbediscono e neppure le dinamiche. Il vento muove i corpi delle piante gentilmente, leggere torsioni vivificanti.
Il bosco della città mi ha accolto e mi nutre con la sua viriditas, le labbra cedono ad un sorriso più disteso. Mi sento oramai lontano dall’immagine del corridore, sono io? È un altro?
Tra le fronde sembra ci sia una leggera tensione, due o tre voci stridule si gridano addosso in un bisticcio che sa di quotidiana convivenza. C’è anche un canto più tenue, prova a portare una nota di armonia quasi incerto sull’avvenire di questa possibilità. Ogni passo continua a cedere al successivo sempre più abbandonato alla quiete del ritmo che si è consolidato nel procedere.
Non incrocio nessuno sul sentiero, se non di sfuggita e a distanza; è il parco più grande della città ma i cittadini sono minoranza assoluta tra i tronchi. C’è una poesia nel disuso dei parchi di città, con pochi allievi e pochissimi cultori. In effetti se l’utopia concreta del parco si realizzasse su scala di massa fallirebbe nel momento del suo compimento; lo prova la sparizione della magia dal parco nei giorni di mercato e nelle domeniche di festa. Le masse dovrebbero sciogliersi in popoli silenziosi di boschi e valli, il parco è semplicemente una mano tesa di Madre Natura verso il suo figliol prodigo.
Il procedere nel paesaggio si fa immersione nel paesaggio, non sono nemmeno più cittadino. Tra un passo e l’altro sono caduti i miei diritti e i miei doveri, non ne so nulla, non so più molte cose.
Semplicemente cammino un passo dopo l’altro nel paesaggio, nel respirare. C’è una bella luce che filtra, a volte dei veri e propri fasci di luce si mostrano sul cammino, nel verde. Mi è capitato di incontrare un’upupa, sempre in un certo tratto di snodo del sentiero, becchettava nell’erba cercando semi di cui nutrirsi.
Altre volte sul sentiero si viene in amicizia, allora dal silenzio può anche emergere una parola; la parola più bella, quella che tiene conto del silenzio. Da questo sorge, a questo torna.
Sono arrivato al limite del bosco, il parco continua. Attraverso una strada per biciclette, passo di fianco ad un bar spopolato e nascosto da una siepe, mi siedo su una panchina di pietra irregolare ed avvolgente. Alle mie spalle un fiume minore sfocia nel grande fiume della città, macchine scorrono sul ponte sospeso sopra il fiume.
Mi lascio toccare dai raggi del sole, sto in questo contatto.
Ogni tanto apro gli occhi per vedere ondeggiare le chiome con i loro verdi e gialli e la loro danza sinuosa. Divento coscienza del luogo, vedo arrivare ogni tanto qualche passante, ognuno ha il suo ritmo e i suoi modi; loro vanno e vengono, io sto. Ho ancora la benedizione del bosco cittadino con me.
Avverto il calore aumentare mentre il sole sale allo zenit. Riparto, ritorno, mi reimmergo nella foresta, nel ritmo dei passi. Gradualmente tornerò, alla mia bicicletta, alla città, alle macchine, ai nostri traffici. Nel cuore conserverò la parola silenziosa del bosco di città.
(Lapo Chitarro)
Mi muovo, armonizzo i miei passi all’ispirazione e all’espirazione. Sento la compagnia del vento, mi rende molto più consapevole dell’aria in cui sono costantemente immerso. Ogni respiro è un’occasione di intimo contatto con l’aria. Gli alberi la donano, il vento me la consegna, cosa posso chiedere di più? Sento la gioia di cui mi nutre il parco ad ogni ispirazione. Questo è il mio sobrio baccanale.
Continuo a muovere i miei passi, più procedo più cedo alla lentezza del ritmo del parco. Mi inoltro sul sentiero battuto, la linea retta si allontana nel ricordo; le forme non le obbediscono e neppure le dinamiche. Il vento muove i corpi delle piante gentilmente, leggere torsioni vivificanti.
Il bosco della città mi ha accolto e mi nutre con la sua viriditas, le labbra cedono ad un sorriso più disteso. Mi sento oramai lontano dall’immagine del corridore, sono io? È un altro?
Tra le fronde sembra ci sia una leggera tensione, due o tre voci stridule si gridano addosso in un bisticcio che sa di quotidiana convivenza. C’è anche un canto più tenue, prova a portare una nota di armonia quasi incerto sull’avvenire di questa possibilità. Ogni passo continua a cedere al successivo sempre più abbandonato alla quiete del ritmo che si è consolidato nel procedere.
Non incrocio nessuno sul sentiero, se non di sfuggita e a distanza; è il parco più grande della città ma i cittadini sono minoranza assoluta tra i tronchi. C’è una poesia nel disuso dei parchi di città, con pochi allievi e pochissimi cultori. In effetti se l’utopia concreta del parco si realizzasse su scala di massa fallirebbe nel momento del suo compimento; lo prova la sparizione della magia dal parco nei giorni di mercato e nelle domeniche di festa. Le masse dovrebbero sciogliersi in popoli silenziosi di boschi e valli, il parco è semplicemente una mano tesa di Madre Natura verso il suo figliol prodigo.
Il procedere nel paesaggio si fa immersione nel paesaggio, non sono nemmeno più cittadino. Tra un passo e l’altro sono caduti i miei diritti e i miei doveri, non ne so nulla, non so più molte cose.
Semplicemente cammino un passo dopo l’altro nel paesaggio, nel respirare. C’è una bella luce che filtra, a volte dei veri e propri fasci di luce si mostrano sul cammino, nel verde. Mi è capitato di incontrare un’upupa, sempre in un certo tratto di snodo del sentiero, becchettava nell’erba cercando semi di cui nutrirsi.
Altre volte sul sentiero si viene in amicizia, allora dal silenzio può anche emergere una parola; la parola più bella, quella che tiene conto del silenzio. Da questo sorge, a questo torna.
Sono arrivato al limite del bosco, il parco continua. Attraverso una strada per biciclette, passo di fianco ad un bar spopolato e nascosto da una siepe, mi siedo su una panchina di pietra irregolare ed avvolgente. Alle mie spalle un fiume minore sfocia nel grande fiume della città, macchine scorrono sul ponte sospeso sopra il fiume.
Mi lascio toccare dai raggi del sole, sto in questo contatto.
Ogni tanto apro gli occhi per vedere ondeggiare le chiome con i loro verdi e gialli e la loro danza sinuosa. Divento coscienza del luogo, vedo arrivare ogni tanto qualche passante, ognuno ha il suo ritmo e i suoi modi; loro vanno e vengono, io sto. Ho ancora la benedizione del bosco cittadino con me.
Avverto il calore aumentare mentre il sole sale allo zenit. Riparto, ritorno, mi reimmergo nella foresta, nel ritmo dei passi. Gradualmente tornerò, alla mia bicicletta, alla città, alle macchine, ai nostri traffici. Nel cuore conserverò la parola silenziosa del bosco di città.
(Lapo Chitarro)