Letture
Il respiro del corpo
Anapanasati sutta, libere considerazioni Nella tradizione buddhista si è molto approfondita la pratica della consapevolezza del respiro. In un importante sutra (insegnamento del Buddha), valorizzato soprattutto nelle scuole zen di questa tradizione, L’Anapanasati Sutta (Il discorso sulla piena consapevolezza del respiro) si descrive il processo meditativo e lo si fa iniziare e ruotare intorno, potremmo dire, proprio alla consapevolezza del respiro.
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Uno dei primi esercizi per un praticante di meditazione è proprio familiarizzare con il proprio respiro. Questo ci fa immergere nella consapevolezza di essere vivi e ci fornisce: un’ancora per mantenerci saldi nei momenti di turbolenza emotiva, un supporto sempre a disposizione per stabilizzare la nostra attenzione e farla divenire concentrazione, un centro di gravità permanente che permette di non avere idee sulle cose e sulla gente, un perno intorno a cui far danzare il vivere. La consapevolezza del respiro può essere praticata tutto il giorno; può essere un ottimo esercizio durante gli impegni delle nostre vite quotidiane fermarsi un momento, raccogliersi e rientrare in contatto consapevole con il proprio respirare, inspirare ed espirare.
La consapevolezza del respiro sotto lo sguardo di Luce Irigaray diventa anche una pratica di riconciliazione con la vita, può divenire una pratica di adesione consapevole al proprio desiderio di vivere. Il respiro in questa prospettiva è più di un semplice supporto per l’attenzione meditativa, comodo perché sempre a disposizione. Il respiro viene presentato come la prima porta per entrare in contatto con la vita consapevolmente ed il diventare consapevoli del respiro diviene così il modo più immediato per dire “Sì!” alla Vita, entrando in un rapporto armonico con il vivere, non creando opposizioni nevrotiche e dualistiche rispetto all’essere vivi.
Supporto per la nostra attenzione meditativa ne Il discorso sulla piena consapevolezza del respiro è anche il corpo. La riflessione di Luce Irigaray ci aiuta a venderlo come qualcosa di più di un semplice supporto su cui appoggiare la nostra attenzione. Innanzi tutto il nostro corpo è sempre maschile o femminile, è sempre segnato dalla nostra appartenenza sessuata e più in generale rimanda alla nostra identità di genere che condiziona e determina in certa misura la nostra apertura al mondo e la nostra relazione con l’altro. Per Irigaray l’esperienza di essere corpo può aiutarci a toccare un senso immediato del limite e della nostra finitezza. Il mio corpo può essere solo o maschile o femminile, quindi sperimento con questa consapevolezza la parzialità della mia esperienza corporea: io in quanto uomo non sperimenterò mai l’essere in un corpo femminile. L’esperienza corporea è anche capace di donarci il senso della nostra unicità e singolarità. Contrapponendosi al discorso di Hediegger per cui si arriva a scoprire il proprio essere unici attraverso la consapevolezza della propria mortalità (essere-per-la-morte), Irigaray propone un’altra via per fare esperienza della propria unicità quella cioè di essere in un corpo o essere anche corpo, potremmo chiamarla essere-per-la-vita. Il corpo dunque con Luce Irigaray diviene il luogo del senso del limite e della propria unicità.
Teresa Forcades, monaca cristiana che si considera allieva di Luce Irigaray, ha continuato la riflessione sul corpo in chiave cristiana. Nel suo Il corpo gioia di Dio. La materia come spazio di incontro tra divino e umano riflette sui fenomeni che investono in corpo in forza della tradizione e dell’attualità. L’intento principale del piccolo libro di Forcades è dare un contributo a superare l’eccesso dualistico dell’antropologia, implicita o esplicita, di molto cristianesimo distorta dall’idealismo platonico che tende a contrapporre l’anima al corpo. La monaca benedettina sceglie Gerusalemme contro Atene. Si tratta, nella sua visione, di vivere l’esperienza della unità bio-psico-spirituale (il riferimento è all’antropologia evangelica, intreccio dinamico di bios, psyché e zoé). Se bios fa riferimento alla vita individuale concreta ed ai suoi elementi fisici e fisiologici di sopravvivenza e sostentamento, psyché sottolinea l’aspetto della vita personale legata alla libertà soggettiva e quindi alla responsabilità. Zoé, la vita nuova del cristiano, infine allude sia ad un’esperienza mistica della vita infinita ed eterna cui partecipiamo come figli di Dio ma, sottolinea Forcades, si riferisce anche all’esperienza eminentemente pratica dell’amore reciproco che ha luogo nelle nostre vite e che le trasforma sensibilmente. Ecco che nella visione di Forcades il corpo torna ad essere parte dell’esperienza di pienezza della persona umana. Nell’esperienza dello Spirito, ricercata dalle persone con inquietudini spirituali oggi e sempre, sembra possibile sperare in e incontrare la riconciliazione di Legge e Carne, di cui già trattava San Paolo (Romani 7-8), passando così dal dolore esistenziale alla gioia interiore, facendo esperienza finalmente di un corpo integrato nella unità bio-psico-spirituale e di una carne che sente pienamente di essere unità bio-psico-sprituale.
Concluderei questo breve viaggio tra corpo e respiro facendo riferimento ad una riflessione panikkariana intitolata Aspetti di una nuova spiritualità cosmoteandrica. Il tema del corpo viene toccato nella sezione 8, Il mondo come luogo dell’uomo. Nel testo tornano temi già incontrati nelle trattazioni di Irigaray e Forcades: il corpo sessuato, il corpo come luogo dell’unicità, l’antropologia tripartita corpo-anima-spirito. Può essere interessante forse sottolineare qui la riflessione fatta sull’esperienza delle sensazioni, altro elemento centrale nella pratica meditativa proposta nell’Anapanasati sutta da cui ha preso avvio la nostra riflessione. Panikkar sottolinea come le sensazioni corporali, le emozioni somatiche, i dolori corporali sono miei ed esclusivamente miei a differenza delle intuizioni intellettuali, che possono essere condivise con l’altro e dei sentimenti, che possono avere una dimensione comune. Interessante anche l’accenno al tema dell’androginia dell’essere umano (“L’essere umano è androgino, anche se con caratteri predominanti e costituzioni fisiologiche distinte”), comprensione che forse deriva all’autore dall’esperienza dello Spirito che permette di superare, nell’esperienza vissuta del cuore, i limiti della dimensione corporea di cui abbiamo trattato sopra e che permette di integrare interiormente ciò che esteriormente è destinato a rimanere separato.
Per approfondire:
Thich Nhat Hanh, Respira! Sei vivo, Roma, Ubaldini Editore, 1994.
Thich Nhat Hanh, Trasformarsi e guarire, Roma, Ubaldini Editore, 1992.
Luce Irigaray, Nascere. Genesi di un nuovo essere umano, Torino, Bollati Boringheri, 2019.
Teresa Forcades, Il corpo gioia di Dio. La materia come spazio di incontro tra divino e umano, San Pietro in Cariano, Gabrielli Editori, 2020.
Raimon Panikkar, Visione trinitaria e cosmoteandrica: Dio – Uomo – Cosmo, Milano, Jaca Book, 2010.
(Lapo Chittaro)
La consapevolezza del respiro sotto lo sguardo di Luce Irigaray diventa anche una pratica di riconciliazione con la vita, può divenire una pratica di adesione consapevole al proprio desiderio di vivere. Il respiro in questa prospettiva è più di un semplice supporto per l’attenzione meditativa, comodo perché sempre a disposizione. Il respiro viene presentato come la prima porta per entrare in contatto con la vita consapevolmente ed il diventare consapevoli del respiro diviene così il modo più immediato per dire “Sì!” alla Vita, entrando in un rapporto armonico con il vivere, non creando opposizioni nevrotiche e dualistiche rispetto all’essere vivi.
Supporto per la nostra attenzione meditativa ne Il discorso sulla piena consapevolezza del respiro è anche il corpo. La riflessione di Luce Irigaray ci aiuta a venderlo come qualcosa di più di un semplice supporto su cui appoggiare la nostra attenzione. Innanzi tutto il nostro corpo è sempre maschile o femminile, è sempre segnato dalla nostra appartenenza sessuata e più in generale rimanda alla nostra identità di genere che condiziona e determina in certa misura la nostra apertura al mondo e la nostra relazione con l’altro. Per Irigaray l’esperienza di essere corpo può aiutarci a toccare un senso immediato del limite e della nostra finitezza. Il mio corpo può essere solo o maschile o femminile, quindi sperimento con questa consapevolezza la parzialità della mia esperienza corporea: io in quanto uomo non sperimenterò mai l’essere in un corpo femminile. L’esperienza corporea è anche capace di donarci il senso della nostra unicità e singolarità. Contrapponendosi al discorso di Hediegger per cui si arriva a scoprire il proprio essere unici attraverso la consapevolezza della propria mortalità (essere-per-la-morte), Irigaray propone un’altra via per fare esperienza della propria unicità quella cioè di essere in un corpo o essere anche corpo, potremmo chiamarla essere-per-la-vita. Il corpo dunque con Luce Irigaray diviene il luogo del senso del limite e della propria unicità.
Teresa Forcades, monaca cristiana che si considera allieva di Luce Irigaray, ha continuato la riflessione sul corpo in chiave cristiana. Nel suo Il corpo gioia di Dio. La materia come spazio di incontro tra divino e umano riflette sui fenomeni che investono in corpo in forza della tradizione e dell’attualità. L’intento principale del piccolo libro di Forcades è dare un contributo a superare l’eccesso dualistico dell’antropologia, implicita o esplicita, di molto cristianesimo distorta dall’idealismo platonico che tende a contrapporre l’anima al corpo. La monaca benedettina sceglie Gerusalemme contro Atene. Si tratta, nella sua visione, di vivere l’esperienza della unità bio-psico-spirituale (il riferimento è all’antropologia evangelica, intreccio dinamico di bios, psyché e zoé). Se bios fa riferimento alla vita individuale concreta ed ai suoi elementi fisici e fisiologici di sopravvivenza e sostentamento, psyché sottolinea l’aspetto della vita personale legata alla libertà soggettiva e quindi alla responsabilità. Zoé, la vita nuova del cristiano, infine allude sia ad un’esperienza mistica della vita infinita ed eterna cui partecipiamo come figli di Dio ma, sottolinea Forcades, si riferisce anche all’esperienza eminentemente pratica dell’amore reciproco che ha luogo nelle nostre vite e che le trasforma sensibilmente. Ecco che nella visione di Forcades il corpo torna ad essere parte dell’esperienza di pienezza della persona umana. Nell’esperienza dello Spirito, ricercata dalle persone con inquietudini spirituali oggi e sempre, sembra possibile sperare in e incontrare la riconciliazione di Legge e Carne, di cui già trattava San Paolo (Romani 7-8), passando così dal dolore esistenziale alla gioia interiore, facendo esperienza finalmente di un corpo integrato nella unità bio-psico-spirituale e di una carne che sente pienamente di essere unità bio-psico-sprituale.
Concluderei questo breve viaggio tra corpo e respiro facendo riferimento ad una riflessione panikkariana intitolata Aspetti di una nuova spiritualità cosmoteandrica. Il tema del corpo viene toccato nella sezione 8, Il mondo come luogo dell’uomo. Nel testo tornano temi già incontrati nelle trattazioni di Irigaray e Forcades: il corpo sessuato, il corpo come luogo dell’unicità, l’antropologia tripartita corpo-anima-spirito. Può essere interessante forse sottolineare qui la riflessione fatta sull’esperienza delle sensazioni, altro elemento centrale nella pratica meditativa proposta nell’Anapanasati sutta da cui ha preso avvio la nostra riflessione. Panikkar sottolinea come le sensazioni corporali, le emozioni somatiche, i dolori corporali sono miei ed esclusivamente miei a differenza delle intuizioni intellettuali, che possono essere condivise con l’altro e dei sentimenti, che possono avere una dimensione comune. Interessante anche l’accenno al tema dell’androginia dell’essere umano (“L’essere umano è androgino, anche se con caratteri predominanti e costituzioni fisiologiche distinte”), comprensione che forse deriva all’autore dall’esperienza dello Spirito che permette di superare, nell’esperienza vissuta del cuore, i limiti della dimensione corporea di cui abbiamo trattato sopra e che permette di integrare interiormente ciò che esteriormente è destinato a rimanere separato.
Per approfondire:
Thich Nhat Hanh, Respira! Sei vivo, Roma, Ubaldini Editore, 1994.
Thich Nhat Hanh, Trasformarsi e guarire, Roma, Ubaldini Editore, 1992.
Luce Irigaray, Nascere. Genesi di un nuovo essere umano, Torino, Bollati Boringheri, 2019.
Teresa Forcades, Il corpo gioia di Dio. La materia come spazio di incontro tra divino e umano, San Pietro in Cariano, Gabrielli Editori, 2020.
Raimon Panikkar, Visione trinitaria e cosmoteandrica: Dio – Uomo – Cosmo, Milano, Jaca Book, 2010.
(Lapo Chittaro)