Letture
Incontrare. Sguardo e Volto Le nostre vite sono costituite da gesti quotidiani e da parole, conversazioni, dialoghi. Relazionandoci mettiamo in atto scambi quotidiani. In questo ammasso di scambi comunicativi capita, talvolta, di incontrare l’altro con cui siamo in relazione, nel momento presente. Come il camminare ci introduceva alla relazione con il paesaggio, così lo sguardo ci permette di partecipare alla sfera intersoggettiva e interpersonale. |
Ognuno di noi custodisce nella propria interiorità invisibile il proprio volto, allora, sebbene nei nostri scambi quotidiani di superfice spesso entriamo in contatto solo con la parte superficiale (faccia) della persona che abbiamo di fronte, può accadere nell’incontro autentico di entrare in contatto con il volto interiore della persona, il volto nascosto del nostro interlocutore. Se noi, in primo luogo, siamo in contatto con il nostro volto interiore allora il nostro sguardo può diventare un ponte per entrare in comunione con il volto invisibile dell’altro. Ecco che il vero incontro può essere descritto come il contatto tra uno sguardo vivo ed un volto presente. In questa dimensione profonda dell’interazione interpersonale lo sguardo supera il livello della comunicazione quotidiana per arrivare ad essere strumento della comunione personale.
Se guardiamo alla dimensione della parola dal punto di vista di questa silenziosa interazione tra sguardo e volto si fa evidente come spesso la parola e il discorso siano usati come schermatura che ripara da una intimità che non si vuole vivere. L’ammasso di parole e gesti quotidiani può essere visto come una costruzione di confini rispetto alla possibilità di intima comunione tra sguardo e volto.
Capita però che anche la parola, in certe occasioni felici, possa essere accolta nello spazio intimo di comunione generato dalla tensione creativa tra guardo e volto e, nel suo essere detta, possa conservare l’aura del silenzio. Allora silenzio e parola non sono più due opposti che si escludono ma due elementi che concorrono a creare l’intima comunione dell’incontro; lo stesso si può dire dei gesti del corpo.
Levinas è stato il grande filosofo del volto, ci ha insegnato che quest’ultimo è una realtà trascendente che costituisce la persona; il volto è il simbolo della unicità personale. Il volto è una traccia dell’infinito, con cui possiamo entrare in contatto. L’incontro autentico è sempre incontro tra due unici. Proprio il riconoscimento dell’unicità fa accedere alla dimensione della autenticità e della verità dell’incontrare.
L’incontro tra unici, perché non diventi una fusionalità che annullerebbe l’incontro, deve avvenire nella dimensione della distanza. Nella dimensione quotidiana della distanza è possibile che due unici lontani, per mezzo dello sguardo, si facciano prossimi e accada l’incontro. La distanza fa sì che ognuno sia sufficientemente raccolto per poter accogliere l’altro e sufficientemente aperto perché il contatto possa avere luogo. La forma aperta data dalla distanza è il prerequisito dell’accadere dell’incontro.
Nello spazio della quotidiana distanza capita anche che lo sguardo sia assorbito e catturato da schermi, allora il volto rimane non visto, in qualche modo abbandonato a sé stesso perde l’intensità dell’esistenza. Gli sguardi dispersi negli schermi creano un contesto condiviso di vita povero di sguardo e lasciano i volti senza custodia. Lo sguardo che incontra lo schermo si isola dalla percezione globale. L’utente digitale si contraddistingue per il suo particolare modo di guardare che fa capo a quell’atteggiamento dello sguardo che Byung-Chul Han ha definito come ottica del cacciatore di informazioni. L’attenzione si fa troppo superficiale e dispersa per poter dar luogo all’incontro di uno sguardo amorevole e di un volto vibrante di vita; inoltre l’atto di guardare si fa tutto prendere, dimenticando la possibilità di essere dono di attenzione per l’altro.
Nello sguardo tattile in opera nell’incontro invece si ha ancora a che fare con uno sguardo incarnato, non separato dalla sinestesia della percezione. Nello sguardo sono presenti il corpo, l’anima e lo spirito della persona che guarda, così questo non è separato dall’amore. Lo sguardo reciproco diventa così quell’atto capace di generare un campo di amorevolezza in cui custodire l’esistenza personale, in cui il volto è custodito dallo sguardo dell’altro.
Lo sguardo dell’altro mi fa esistere più intensamente, lo sguardo dell’altro, abbracciando il mio volto, mi fa scoprire che sono un dono dello sguardo dell’altro che illumina la mia unicità. Lo sguardo dell’incontro si rivela infine come luogo privilegiato dell’incarnazione dell’amore nella dimensione interpersonale.
Dal testo L’amicizia spirituale ci viene regalata una descrizione di un gesto rituale molto evocativo messo in atto da due monaci in procinto di avere un dialogo intimo che vorrebbe arrivare a toccare la verità. I due prima di iniziare il loro incontro di sguardi e volti, di ascolto e di parola accendono un lume, una candela augurandosi che al loro incontro, al loro stare insieme prenda parte anche un terzo, il Cristo che custodisce i volti e che guida sul cammino di verità.
In effetti l’incontro autentico è sempre una grazia, si ha l’impressione che ci sia un terzo, lo Spirito a guidarci, a metterci in salvo dalla dispersione e fare approdare il nostro volto nella custodia dello sguardo dell’altro e ci inviti a nostra volta a custodire il volto dell’altro nel nostro sguardo.
Lo sguardo d’amore è capace di aprire una breccia nel mondo della schermatura quotidiana, della dimenticanza, dell’inautenticità, dell’impersonalità anonima resuscitandoci all’esperienza della Vita; è uno dei modi dell’infinità della Vita di farsi presente rigenerandoci come Tu. Lo sguardo dell’altro, come candela piegata, con la sua fiammella riaccende la nostra candela e il volto torna a brillare.
Suggerimenti di lettura:
Ivan Illich, La perdita dei sensi, Firenze, LEF, 2009.
Silvano Petrosino, Emmanuel Levinas, Milano, Feltrinelli, 2017.
Byung-Chul Han, Nello sciame, Roma, Nottetempo, 2015.
Aelredo di Rievaulx, L’amicizia spirituale, Milano, Paoline, 2019.
(Lapo Chittaro)
Se guardiamo alla dimensione della parola dal punto di vista di questa silenziosa interazione tra sguardo e volto si fa evidente come spesso la parola e il discorso siano usati come schermatura che ripara da una intimità che non si vuole vivere. L’ammasso di parole e gesti quotidiani può essere visto come una costruzione di confini rispetto alla possibilità di intima comunione tra sguardo e volto.
Capita però che anche la parola, in certe occasioni felici, possa essere accolta nello spazio intimo di comunione generato dalla tensione creativa tra guardo e volto e, nel suo essere detta, possa conservare l’aura del silenzio. Allora silenzio e parola non sono più due opposti che si escludono ma due elementi che concorrono a creare l’intima comunione dell’incontro; lo stesso si può dire dei gesti del corpo.
Levinas è stato il grande filosofo del volto, ci ha insegnato che quest’ultimo è una realtà trascendente che costituisce la persona; il volto è il simbolo della unicità personale. Il volto è una traccia dell’infinito, con cui possiamo entrare in contatto. L’incontro autentico è sempre incontro tra due unici. Proprio il riconoscimento dell’unicità fa accedere alla dimensione della autenticità e della verità dell’incontrare.
L’incontro tra unici, perché non diventi una fusionalità che annullerebbe l’incontro, deve avvenire nella dimensione della distanza. Nella dimensione quotidiana della distanza è possibile che due unici lontani, per mezzo dello sguardo, si facciano prossimi e accada l’incontro. La distanza fa sì che ognuno sia sufficientemente raccolto per poter accogliere l’altro e sufficientemente aperto perché il contatto possa avere luogo. La forma aperta data dalla distanza è il prerequisito dell’accadere dell’incontro.
Nello spazio della quotidiana distanza capita anche che lo sguardo sia assorbito e catturato da schermi, allora il volto rimane non visto, in qualche modo abbandonato a sé stesso perde l’intensità dell’esistenza. Gli sguardi dispersi negli schermi creano un contesto condiviso di vita povero di sguardo e lasciano i volti senza custodia. Lo sguardo che incontra lo schermo si isola dalla percezione globale. L’utente digitale si contraddistingue per il suo particolare modo di guardare che fa capo a quell’atteggiamento dello sguardo che Byung-Chul Han ha definito come ottica del cacciatore di informazioni. L’attenzione si fa troppo superficiale e dispersa per poter dar luogo all’incontro di uno sguardo amorevole e di un volto vibrante di vita; inoltre l’atto di guardare si fa tutto prendere, dimenticando la possibilità di essere dono di attenzione per l’altro.
Nello sguardo tattile in opera nell’incontro invece si ha ancora a che fare con uno sguardo incarnato, non separato dalla sinestesia della percezione. Nello sguardo sono presenti il corpo, l’anima e lo spirito della persona che guarda, così questo non è separato dall’amore. Lo sguardo reciproco diventa così quell’atto capace di generare un campo di amorevolezza in cui custodire l’esistenza personale, in cui il volto è custodito dallo sguardo dell’altro.
Lo sguardo dell’altro mi fa esistere più intensamente, lo sguardo dell’altro, abbracciando il mio volto, mi fa scoprire che sono un dono dello sguardo dell’altro che illumina la mia unicità. Lo sguardo dell’incontro si rivela infine come luogo privilegiato dell’incarnazione dell’amore nella dimensione interpersonale.
Dal testo L’amicizia spirituale ci viene regalata una descrizione di un gesto rituale molto evocativo messo in atto da due monaci in procinto di avere un dialogo intimo che vorrebbe arrivare a toccare la verità. I due prima di iniziare il loro incontro di sguardi e volti, di ascolto e di parola accendono un lume, una candela augurandosi che al loro incontro, al loro stare insieme prenda parte anche un terzo, il Cristo che custodisce i volti e che guida sul cammino di verità.
In effetti l’incontro autentico è sempre una grazia, si ha l’impressione che ci sia un terzo, lo Spirito a guidarci, a metterci in salvo dalla dispersione e fare approdare il nostro volto nella custodia dello sguardo dell’altro e ci inviti a nostra volta a custodire il volto dell’altro nel nostro sguardo.
Lo sguardo d’amore è capace di aprire una breccia nel mondo della schermatura quotidiana, della dimenticanza, dell’inautenticità, dell’impersonalità anonima resuscitandoci all’esperienza della Vita; è uno dei modi dell’infinità della Vita di farsi presente rigenerandoci come Tu. Lo sguardo dell’altro, come candela piegata, con la sua fiammella riaccende la nostra candela e il volto torna a brillare.
Suggerimenti di lettura:
Ivan Illich, La perdita dei sensi, Firenze, LEF, 2009.
Silvano Petrosino, Emmanuel Levinas, Milano, Feltrinelli, 2017.
Byung-Chul Han, Nello sciame, Roma, Nottetempo, 2015.
Aelredo di Rievaulx, L’amicizia spirituale, Milano, Paoline, 2019.
(Lapo Chittaro)