Letture
Incontro come riconoscimento
In dialogo con Luce Irigaray L’incontro tra volti per mezzo dello sguardo tattile si definisce in modo nuovo grazie al contributo di pensiero di Luce Irigaray. Nel capitolo 11 del testo Nascere. Genesi di un nuovo essere umano viene proposto un modo di conoscere il mondo ed entrare in relazione con i suoi enti viventi originale, questo modo di relazione conoscitiva viene denominato riconoscimento. |
Se nel nostro incontrarci riusciremo ad accedere alla modalità del riconoscimento potremo esperire un vero ed autentico incontro invece di un impersonale scambio comunicativo. Riconoscere vuol dire riapprendere a percepire il qui ed ora in cui può accadere l’incontro. L’incontro nella modalità del riconoscere ci fa porre attenzione alla presenza dell’altro nel qui ed ora, l’attenzione continua, la concentrazione che riusciremo a porre nell’incontrare porterà ad un processo di unificazione delle percezioni dell’altro riconosciuto che culminerà nella contemplazione del volto dell’altro; allora lo sguardo si rivelerà come ponte capace di mettere in connessione i nostri volti, saremo un intero in comunione con un intero, due unici che si riconoscono come tali in una relazione viva.
Per giungere a questo incontro vivo, tipico della modalità del riconoscere, è necessario rinnovare il nostro rapporto con il linguaggio. La relazione alla parola deve essere tale da non chiudere noi stessi e l’altro in una totalità di segni che potrebbe mortificare l’incontro vivente, che può accadere solo nel qui ed ora vivente.
Preliminare alla nuova percezione del volto dell’altro è disapprendere tutte le idee preconcette e convinzioni che ci vengono dalla memoria e dal senso comune; altro elemento necessario al vero incontro è un certo grado di raccoglimento capace di metterci in contatto, in primo luogo, con il nostro volto interiore fonte dell’irradiarsi della nostra presenza nel presente. Per mantenere viva la nuova percezione dell’altro nel momento presente è necessario anche apprendere un nuovo rapporto e un nuovo uso della parola e del linguaggio che non cerchi di designare e catturare la presenza dell’altro in una serie di termini ma che anzi faccia spazio intorno al volto dell’altro per dargli un luogo da cui possa sgorgare la sua parola inimitabile.
Si tratterà allora di abbandonare quella postura conoscitiva che tende all’oggettivazione dell’altro e a ridurre colui che si incontra ad un oggetto di conoscenza o ad una fonte di informazioni. Troppo spesso nell’incontrarci oggettivante si dimentica la complessità infinta dell’altro, le dimensioni dell’anima e dello spirito, il suo essere Tu. Dalla logica conoscitiva soggetto-oggetto dobbiamo fare un salto alla logica dell’intersoggettività capace di rivoluzionare la percezione dell’altro nella dinamica dell’incontro vivente. Riconosciamo nell’incontro vivente l’energia, il respiro, l’anima, lo spirito in colui a cui rivolgiamo in nostro sguardo e l’incontro avviene nella vita e non nello spazio impersonale del linguaggio oggettivante.
Apprezzando molto il tentativo di Luce Irigaray di riportare la filosofia alla sua dimensione di esperienza vivente nel momento presente, vorrei mettere in luce alcuni elementi della sua visione filosofica che trovo più problematici.
Nel suo testo Nascere Irigaray valorizza fortemente l’appartenenza sessuata e il desiderio come possibili elementi capaci di porci nuovamente in un rapporto di partecipazione con la physis, con la nostra appartenenza naturale. Viene proposto allora l’idea di un volto carnale come possibile riunione dell’elemento materiale/desiderante e spirituale. Questa idea, erede del pensiero di Nietzsche, si pone in una prospettiva antiplatonica; Platone infatti invitava il filosofo a distaccare l’anima dal corpo, liberare il volto dai lacci della carne, idea che in modi differenti sembra essere sopravvissuta nel pensiero della patristica cristiana.
Sempre ponendosi in una prospettiva post-Nietzsche Irirgaray sembra rinunciare ad includere nel suo modo di pensare la presenza di Dio, l’autrice pensa infatti a partire dalla solitudine dell’uomo e della donna che insieme hanno il compito di generare un mondo dal volto umano.
La dimensione del desiderio sembra avere nel pensiero della filosofa belga una dimensione di elevazione e di libera sublimazione del bisogno e degli istinti e, quindi, la condivisione del desiderio viene vista come un fattore di umanizzazione rispetto allo stato abbrutente del mero soddisfacimento del bisogno.
Concludo interrogandomi riguardo tutti questi elementi; sono davvero un passo avanti nella visione antropologica e nella comprensione della realtà? Questo nuovo essere umano di cui Irigaray auspica l’avvento ci avvicina veramente alla pienezza dell’uomo?
In effetti non prendendo in considerazione la Presenza di Dio perde di significato la pratica di distaccare il volto dai suoi lacci carnali per poter contemplare il volto di Dio o stare in ascolto della sua Parola. Svuotata la vita contemplativa del suo interlocutore non rimane che la vita terrena con le sue proprie dinamiche di interazione. Ma non è questa un’antropologia più povera, una realtà più misera?
Suggerimenti di lettura:
Luce Irigaray, Nascere. Genesi di un nuovo essere umano, Torino, Bollati Boringhieri, 2019.
(Lapo Chittaro)
Per giungere a questo incontro vivo, tipico della modalità del riconoscere, è necessario rinnovare il nostro rapporto con il linguaggio. La relazione alla parola deve essere tale da non chiudere noi stessi e l’altro in una totalità di segni che potrebbe mortificare l’incontro vivente, che può accadere solo nel qui ed ora vivente.
Preliminare alla nuova percezione del volto dell’altro è disapprendere tutte le idee preconcette e convinzioni che ci vengono dalla memoria e dal senso comune; altro elemento necessario al vero incontro è un certo grado di raccoglimento capace di metterci in contatto, in primo luogo, con il nostro volto interiore fonte dell’irradiarsi della nostra presenza nel presente. Per mantenere viva la nuova percezione dell’altro nel momento presente è necessario anche apprendere un nuovo rapporto e un nuovo uso della parola e del linguaggio che non cerchi di designare e catturare la presenza dell’altro in una serie di termini ma che anzi faccia spazio intorno al volto dell’altro per dargli un luogo da cui possa sgorgare la sua parola inimitabile.
Si tratterà allora di abbandonare quella postura conoscitiva che tende all’oggettivazione dell’altro e a ridurre colui che si incontra ad un oggetto di conoscenza o ad una fonte di informazioni. Troppo spesso nell’incontrarci oggettivante si dimentica la complessità infinta dell’altro, le dimensioni dell’anima e dello spirito, il suo essere Tu. Dalla logica conoscitiva soggetto-oggetto dobbiamo fare un salto alla logica dell’intersoggettività capace di rivoluzionare la percezione dell’altro nella dinamica dell’incontro vivente. Riconosciamo nell’incontro vivente l’energia, il respiro, l’anima, lo spirito in colui a cui rivolgiamo in nostro sguardo e l’incontro avviene nella vita e non nello spazio impersonale del linguaggio oggettivante.
Apprezzando molto il tentativo di Luce Irigaray di riportare la filosofia alla sua dimensione di esperienza vivente nel momento presente, vorrei mettere in luce alcuni elementi della sua visione filosofica che trovo più problematici.
Nel suo testo Nascere Irigaray valorizza fortemente l’appartenenza sessuata e il desiderio come possibili elementi capaci di porci nuovamente in un rapporto di partecipazione con la physis, con la nostra appartenenza naturale. Viene proposto allora l’idea di un volto carnale come possibile riunione dell’elemento materiale/desiderante e spirituale. Questa idea, erede del pensiero di Nietzsche, si pone in una prospettiva antiplatonica; Platone infatti invitava il filosofo a distaccare l’anima dal corpo, liberare il volto dai lacci della carne, idea che in modi differenti sembra essere sopravvissuta nel pensiero della patristica cristiana.
Sempre ponendosi in una prospettiva post-Nietzsche Irirgaray sembra rinunciare ad includere nel suo modo di pensare la presenza di Dio, l’autrice pensa infatti a partire dalla solitudine dell’uomo e della donna che insieme hanno il compito di generare un mondo dal volto umano.
La dimensione del desiderio sembra avere nel pensiero della filosofa belga una dimensione di elevazione e di libera sublimazione del bisogno e degli istinti e, quindi, la condivisione del desiderio viene vista come un fattore di umanizzazione rispetto allo stato abbrutente del mero soddisfacimento del bisogno.
Concludo interrogandomi riguardo tutti questi elementi; sono davvero un passo avanti nella visione antropologica e nella comprensione della realtà? Questo nuovo essere umano di cui Irigaray auspica l’avvento ci avvicina veramente alla pienezza dell’uomo?
In effetti non prendendo in considerazione la Presenza di Dio perde di significato la pratica di distaccare il volto dai suoi lacci carnali per poter contemplare il volto di Dio o stare in ascolto della sua Parola. Svuotata la vita contemplativa del suo interlocutore non rimane che la vita terrena con le sue proprie dinamiche di interazione. Ma non è questa un’antropologia più povera, una realtà più misera?
Suggerimenti di lettura:
Luce Irigaray, Nascere. Genesi di un nuovo essere umano, Torino, Bollati Boringhieri, 2019.
(Lapo Chittaro)