Letture
Massaccio
Segnalo una circostanza davvero irripetibile per il contemplatore in occasione di questa Pasqua: la Crocefissione di Masaccio che si trova al Museo di Capodimonte a Napoli viene ospitata al Museo Diocesano di Milano. L’importanza di questo dipinto nella storia dell’arte è grandissima, come è noto a tutti gli studiosi e cercherò di mostrarlo in modo essenziale anche ai non addetti ai lavori; ma, prima di concentrarmi sul dipinto in sé, vorrei sottolineare che questo prestito, almeno per una volta, non obbedisce solo a motivazioni di visibilità e di fruibilità ma presenta un preciso valore aggiunto. |
Al Museo Diocesano intitolato alla memoria di Carlo Maria Martini il grande giurista e collezionista Alberto Crespi ha voluto donare la sua preziosa collezione di Fondi Oro, perseguita con metodo per un’intera vita e che offre una straordinaria documentazione dell’arte del Duecento e Trecento; in effetti questa circostanza viene esplicitamente sottolineata dai curatori stessi di questa esposizione. Questa raccolta si trova nelle sale adiacenti e il visitatore può scegliere di vederla prima e dopo: avrà quindi una occasione unica per comprendere qualcosa in più di come procede l’arte e, in particolare, rispetto alla rivoluzione operata da Masaccio.
Questo è il punto per me qualificante di questa operazione culturale e che deve essere chiarito: questa Crocefissione si trova come a casa propria, circondata da tante altre opere simili, e che consentono di comprendere il sottile rapporto tra tradizione e genio individuale che costituisce l’essenza stessa del processo artistico.
Lo sfondo oro è una precisa scelta rappresentativa che affonda le proprie radici nella cultura bizantina: rimanda all’idea di atemporalità, che è lo sfondo naturale in cui accadono gli eventi della vita del Cristo in quanto appunto non sono semplici eventi situati nel nostro tempo ordinario, ma realtà eterne che il pittore di icone è in grado di offrire alla meditazione del contemplante.
Questo elemento rappresenta la tradizione. Nell’ambito dell’arte italiana questa tradizione rimane viva fino a Cimabue e a Duccio di Boninsegna, come si può ancora vedere nella Maestà conservata al Museo dell’opera del Duomo di Siena e verrà interrotta dal nuovo realismo di Giotto. Tralascio ovviamente di parlare di Giotto e di problematizzare il suo modo di dipingere intorno al quale si è molto discusso: mi sono servito del termine realismo in modo approssimativo e generico solo per utilizzare un termine almeno in apparenza facilmente comprensibile.
Masaccio, uno dei più geniali interpreti del Rinascimento italiano, testimonia la fondazione di una nuova modalità di vedere, che si propone un’altra rappresentazione e che assume la prospettiva come strumento al servizio di questa rivoluzione. Chi desidera comprendere questa luminosa aurora del Rinascimento deve recarsi a Firenze e visitare con attenzione la Cappella Brancacci dove potrà ammirare gli affreschi di Masaccio accanto a quelli del suo maestro Masolino e toccare con gli occhi ciò che Masaccio cercò di rendere reale.
Ma, come dicevo all’inizio, nel fare di un singolo artista, come nell’agire di ogni essere umano, convivono sempre anime e tensioni differenti, verrebbe da dire bipolari: proprio questo è ciò che possiamo vedere in questa Crocefissione di Masaccio, l’elemento della tradizione che permane accanto alle nuove ricerche rappresentative.
Spero sia chiaro che l’elemento tradizionale stia prevalentemente nella scelta dello sfondo oro: è possibile che esso sia stato dettato all’artista dalla committenza, oppure dal suo bisogno di non rompere del tutto con i moduli della tradizione, oppure da un genuino rispetto di essa; ogni opera di un artista, per poter essere realmente compresa, ha necessità di essere calata in un complesso sistema di rimandi e relazioni causali. Inoltre questa crocefissione faceva parte di un Polittico, ormai smembrato e collocato in differenti musei del mondo e alcune parti sono andate irrimediabilmente perdute. Uno dei meriti di questa mostra è anche quello di permettere al suo visitatore di ricostruire tutti questi riferimenti e di avvicinarsi a questo Polittico nel modo migliore possibile.
Singolare il destino di alcune opere d’arte! Questa opera è nota agli storici dell’arte come il Polittico di Pisa, in quanto fu originariamente dipinta per la chiesa del Carmine di Pisa; le parti rimaste sono la Madonna in trono col Bambino, che si trova ora alla National Gallery di Londra, il San Paolo al Museo Nazionale di Pisa, il Sant’Andrea al Getty Museum di Los Angeles e, infine, i pannelli laterali e quelli della predella tutti conservati allo Staatliche Museum di Berlino. Anche se è difficile esprimere un giudizio a partire dalla molteplicità delle ricostruzioni possibili, l’opera nel complesso mi sembra prossima, per datazione e rappresentazione, al Polittico della Misericordia di Piero della Francesca, una delle sue prime opere e conservato nella città natale dell’artista.
Dopo aver esaminato con attenzione queste ipotesi ricostruttive sono tornato alla contemplazione della Crocefissione, finché il pensiero è andato allo scritto di Hans Urs von Balthasar “Il tutto nel frammento” (1963), in particolare alle parole: dove dobbiamo rivolgere il nostro sguardo per scorgere, nella frammentarietà della nostra esistenza, una tensione verso l’intero? Ogni frammento di un pezzo di ceramica suggerisce la totalità del vaso…così mi sono trovato a riflettere in modo simile e mi è parso chiaro, al di là di ogni ipotesi ricostruttiva, che l’opera di Masaccio stava già di fronte a me, perfettamente leggibile pur nella sua frammentarietà: quella mirabile crocefissione, in tutta la sua commozione umana, desta una profonda compassione, rivolta a tutti senza nessuna distinzione e identifica ognuno con quel destino di morte che esige il compimento della Resurrezione.
Ancora una volta, eppure con occhi nuovi, osserviamo la tavola di Masaccio che narra la Crocefissione. Facciamolo dopo aver guardato con attenzione le tavole presenti nella collezione Crespi, sempre i medesimi personaggi consacrati dalla tradizione, variati secondo uno spartito musicale consolidato e inossidabile, figura di un dramma eterno e ripetuto a beneficio di quanto contemplano il Mistero della Passione. Che cosa accade invece in questa tavola in apparenza simile alle altre? Osserviamo.
Nello spazio rarefatto e ideale definito dal fondo oro si stagliano solo tre colori, che sono, pur nelle loro varianti, i tre colori primari: giallo, rosso, blu. Blu il manto della Madonna, cui corrisponde il rosso squillante (tecnicamente un vermiglione) del manto della Maddalena, mentre quello di San Giovanni è una giustapposizione di blu e rosa/porpora. Questi due colori primari acquistano particolare risalto proprio perché si stagliano su quel fondo oro, tonalità di giallo: questo oro permea anche il legno della croce, il corpo del Cristo, il drappo color carne che ne copre le nudità. I quattro attori di questa rappresentazione sacra sono inscritti in un quadrato perfetto, solo ideale, costituito dalle linee che collegano le figure. Iniziamo dal Cristo: le braccia scarnificate quasi non si distinguono dalle braccia di legno che costituiscono la croce. Fissiamo bene il volto: il collo appare fortemente incassato; è probabile che questo effetto nasca dalla nuova ricerca intrapresa da Masaccio, che vorrebbe rendere sul piano prospettico come realmente verrebbe veduto il volto del Cristo da un osservatore posto ai suoi piedi. Qualcuno dice che forse il pittore non è riuscito ad attuare che parzialmente questa ricerca nella esecuzione finale del dipinto: l’effetto che ne risulta è certamente nuovo, singolarmente straniante. Così però il corpo del Cristo appare quasi deforme, o meglio deformato dalla sua estrema sofferenza tutta umana.
Nella Madonna e in San Giovanni non ci sono corpi, sono semplici manti di luce – poi solo mani e volti. Volti certo composti, contriti, inequivocabilmente segnati da un’intensa sofferenza, nuova e tutta umana. Gesti, come quello delle mani avvolte, contratte in un atto drammatico, non costituiscono più una sorta di mudra declinato quasi dalla tradizione, sono qualcosa di profondamente umano. Infine la Maddalena ai piedi della Croce: proprio ai suoi piedi, in una perfetta linea retta, e dunque ai vertici delle due diagonali ideali che congiungono Madonna e San Giovanni in un unico inesprimibile dolore – il gesto della Maddalena, davvero gettatasi ai piedi dell’Amato, è scomposto, esistenziale, assoluto. Ne ha addirittura cancellato il volto. È la prima volta che accade. Se andiamo a rivedere le altre crocefissioni presenti nella raccolta di Crespi questa raffigurazione costituisce un unicum: mai nessun artista aveva osato tanto, la Maddalena è presente ma non viene ritratta, il volto è nascosto, la sua persona è annichilita dal dolore. Rimane solo il gesto delle sue braccia. E la capigliatura scomposta urla di giallo posato sul manto rosso.
Un’ultima precisazione: il recente restauro ha permesso di recuperare, proprio alla sommità della Croce, un piccolo albero che, a sua volta, pare suggerire la sfericità della Terra. Così l’albero della Croce viene direttamente riconosciuto come l’albero della Vita di tutte le tradizioni ancestrali.
Ho iniziato questa analisi dicendo di proposito che narra la Crocefissione. I pittori precedenti non narrano nulla – la Crocefissione non è qualcosa da raccontare, è un Mistero che si situa fuori dal tempo e che va essenzialmente contemplato.
Come un pittore di icone anche ogni artista del duecento e trecento presente nella collezione Fondi Oro di Crespi interpreta questa Verità eterna secondo la propria sensibilità, può esprimere una testimonianza personale, ma nel rispetto di una complessa serie di convenzioni di fondo. Masaccio appartiene già a un mondo differente: al centro della rappresentazione c’è una tragedia innanzitutto umana, quella dell’uomo Gesù e di una donna, la Maddalena, che lo ha amato e ha amato anche l’uomo circonfuso al Divino. Quel gesto grida una disperazione profondamente umana.
E tuttavia non solo. Lo sfondo oro della tradizione non scompare. La tragedia dell’uomo Gesù è destinata a ricevere una più alta giustificazione dal compimento della promessa fatta dal Padre al Cristo. Quella promessa che è anche aperta a tutti noi – ma può compiersi solo dentro quella tragedia storica. Quell’abisso di sofferenza che è presente in ciascuna di queste quattro figure, espresso in modo mirabile dal colore usato in modo essenziale. Quella promessa che può avverarsi solo grazie alla propria fede – non è più già compiuta dall’eternità come in una icona, è da realizzare mediante un cammino umano di fede. Proviamo a contemplarlo proprio in questo tempo quaresimale.
(Sergio Gandini)
Questo è il punto per me qualificante di questa operazione culturale e che deve essere chiarito: questa Crocefissione si trova come a casa propria, circondata da tante altre opere simili, e che consentono di comprendere il sottile rapporto tra tradizione e genio individuale che costituisce l’essenza stessa del processo artistico.
Lo sfondo oro è una precisa scelta rappresentativa che affonda le proprie radici nella cultura bizantina: rimanda all’idea di atemporalità, che è lo sfondo naturale in cui accadono gli eventi della vita del Cristo in quanto appunto non sono semplici eventi situati nel nostro tempo ordinario, ma realtà eterne che il pittore di icone è in grado di offrire alla meditazione del contemplante.
Questo elemento rappresenta la tradizione. Nell’ambito dell’arte italiana questa tradizione rimane viva fino a Cimabue e a Duccio di Boninsegna, come si può ancora vedere nella Maestà conservata al Museo dell’opera del Duomo di Siena e verrà interrotta dal nuovo realismo di Giotto. Tralascio ovviamente di parlare di Giotto e di problematizzare il suo modo di dipingere intorno al quale si è molto discusso: mi sono servito del termine realismo in modo approssimativo e generico solo per utilizzare un termine almeno in apparenza facilmente comprensibile.
Masaccio, uno dei più geniali interpreti del Rinascimento italiano, testimonia la fondazione di una nuova modalità di vedere, che si propone un’altra rappresentazione e che assume la prospettiva come strumento al servizio di questa rivoluzione. Chi desidera comprendere questa luminosa aurora del Rinascimento deve recarsi a Firenze e visitare con attenzione la Cappella Brancacci dove potrà ammirare gli affreschi di Masaccio accanto a quelli del suo maestro Masolino e toccare con gli occhi ciò che Masaccio cercò di rendere reale.
Ma, come dicevo all’inizio, nel fare di un singolo artista, come nell’agire di ogni essere umano, convivono sempre anime e tensioni differenti, verrebbe da dire bipolari: proprio questo è ciò che possiamo vedere in questa Crocefissione di Masaccio, l’elemento della tradizione che permane accanto alle nuove ricerche rappresentative.
Spero sia chiaro che l’elemento tradizionale stia prevalentemente nella scelta dello sfondo oro: è possibile che esso sia stato dettato all’artista dalla committenza, oppure dal suo bisogno di non rompere del tutto con i moduli della tradizione, oppure da un genuino rispetto di essa; ogni opera di un artista, per poter essere realmente compresa, ha necessità di essere calata in un complesso sistema di rimandi e relazioni causali. Inoltre questa crocefissione faceva parte di un Polittico, ormai smembrato e collocato in differenti musei del mondo e alcune parti sono andate irrimediabilmente perdute. Uno dei meriti di questa mostra è anche quello di permettere al suo visitatore di ricostruire tutti questi riferimenti e di avvicinarsi a questo Polittico nel modo migliore possibile.
Singolare il destino di alcune opere d’arte! Questa opera è nota agli storici dell’arte come il Polittico di Pisa, in quanto fu originariamente dipinta per la chiesa del Carmine di Pisa; le parti rimaste sono la Madonna in trono col Bambino, che si trova ora alla National Gallery di Londra, il San Paolo al Museo Nazionale di Pisa, il Sant’Andrea al Getty Museum di Los Angeles e, infine, i pannelli laterali e quelli della predella tutti conservati allo Staatliche Museum di Berlino. Anche se è difficile esprimere un giudizio a partire dalla molteplicità delle ricostruzioni possibili, l’opera nel complesso mi sembra prossima, per datazione e rappresentazione, al Polittico della Misericordia di Piero della Francesca, una delle sue prime opere e conservato nella città natale dell’artista.
Dopo aver esaminato con attenzione queste ipotesi ricostruttive sono tornato alla contemplazione della Crocefissione, finché il pensiero è andato allo scritto di Hans Urs von Balthasar “Il tutto nel frammento” (1963), in particolare alle parole: dove dobbiamo rivolgere il nostro sguardo per scorgere, nella frammentarietà della nostra esistenza, una tensione verso l’intero? Ogni frammento di un pezzo di ceramica suggerisce la totalità del vaso…così mi sono trovato a riflettere in modo simile e mi è parso chiaro, al di là di ogni ipotesi ricostruttiva, che l’opera di Masaccio stava già di fronte a me, perfettamente leggibile pur nella sua frammentarietà: quella mirabile crocefissione, in tutta la sua commozione umana, desta una profonda compassione, rivolta a tutti senza nessuna distinzione e identifica ognuno con quel destino di morte che esige il compimento della Resurrezione.
Ancora una volta, eppure con occhi nuovi, osserviamo la tavola di Masaccio che narra la Crocefissione. Facciamolo dopo aver guardato con attenzione le tavole presenti nella collezione Crespi, sempre i medesimi personaggi consacrati dalla tradizione, variati secondo uno spartito musicale consolidato e inossidabile, figura di un dramma eterno e ripetuto a beneficio di quanto contemplano il Mistero della Passione. Che cosa accade invece in questa tavola in apparenza simile alle altre? Osserviamo.
Nello spazio rarefatto e ideale definito dal fondo oro si stagliano solo tre colori, che sono, pur nelle loro varianti, i tre colori primari: giallo, rosso, blu. Blu il manto della Madonna, cui corrisponde il rosso squillante (tecnicamente un vermiglione) del manto della Maddalena, mentre quello di San Giovanni è una giustapposizione di blu e rosa/porpora. Questi due colori primari acquistano particolare risalto proprio perché si stagliano su quel fondo oro, tonalità di giallo: questo oro permea anche il legno della croce, il corpo del Cristo, il drappo color carne che ne copre le nudità. I quattro attori di questa rappresentazione sacra sono inscritti in un quadrato perfetto, solo ideale, costituito dalle linee che collegano le figure. Iniziamo dal Cristo: le braccia scarnificate quasi non si distinguono dalle braccia di legno che costituiscono la croce. Fissiamo bene il volto: il collo appare fortemente incassato; è probabile che questo effetto nasca dalla nuova ricerca intrapresa da Masaccio, che vorrebbe rendere sul piano prospettico come realmente verrebbe veduto il volto del Cristo da un osservatore posto ai suoi piedi. Qualcuno dice che forse il pittore non è riuscito ad attuare che parzialmente questa ricerca nella esecuzione finale del dipinto: l’effetto che ne risulta è certamente nuovo, singolarmente straniante. Così però il corpo del Cristo appare quasi deforme, o meglio deformato dalla sua estrema sofferenza tutta umana.
Nella Madonna e in San Giovanni non ci sono corpi, sono semplici manti di luce – poi solo mani e volti. Volti certo composti, contriti, inequivocabilmente segnati da un’intensa sofferenza, nuova e tutta umana. Gesti, come quello delle mani avvolte, contratte in un atto drammatico, non costituiscono più una sorta di mudra declinato quasi dalla tradizione, sono qualcosa di profondamente umano. Infine la Maddalena ai piedi della Croce: proprio ai suoi piedi, in una perfetta linea retta, e dunque ai vertici delle due diagonali ideali che congiungono Madonna e San Giovanni in un unico inesprimibile dolore – il gesto della Maddalena, davvero gettatasi ai piedi dell’Amato, è scomposto, esistenziale, assoluto. Ne ha addirittura cancellato il volto. È la prima volta che accade. Se andiamo a rivedere le altre crocefissioni presenti nella raccolta di Crespi questa raffigurazione costituisce un unicum: mai nessun artista aveva osato tanto, la Maddalena è presente ma non viene ritratta, il volto è nascosto, la sua persona è annichilita dal dolore. Rimane solo il gesto delle sue braccia. E la capigliatura scomposta urla di giallo posato sul manto rosso.
Un’ultima precisazione: il recente restauro ha permesso di recuperare, proprio alla sommità della Croce, un piccolo albero che, a sua volta, pare suggerire la sfericità della Terra. Così l’albero della Croce viene direttamente riconosciuto come l’albero della Vita di tutte le tradizioni ancestrali.
Ho iniziato questa analisi dicendo di proposito che narra la Crocefissione. I pittori precedenti non narrano nulla – la Crocefissione non è qualcosa da raccontare, è un Mistero che si situa fuori dal tempo e che va essenzialmente contemplato.
Come un pittore di icone anche ogni artista del duecento e trecento presente nella collezione Fondi Oro di Crespi interpreta questa Verità eterna secondo la propria sensibilità, può esprimere una testimonianza personale, ma nel rispetto di una complessa serie di convenzioni di fondo. Masaccio appartiene già a un mondo differente: al centro della rappresentazione c’è una tragedia innanzitutto umana, quella dell’uomo Gesù e di una donna, la Maddalena, che lo ha amato e ha amato anche l’uomo circonfuso al Divino. Quel gesto grida una disperazione profondamente umana.
E tuttavia non solo. Lo sfondo oro della tradizione non scompare. La tragedia dell’uomo Gesù è destinata a ricevere una più alta giustificazione dal compimento della promessa fatta dal Padre al Cristo. Quella promessa che è anche aperta a tutti noi – ma può compiersi solo dentro quella tragedia storica. Quell’abisso di sofferenza che è presente in ciascuna di queste quattro figure, espresso in modo mirabile dal colore usato in modo essenziale. Quella promessa che può avverarsi solo grazie alla propria fede – non è più già compiuta dall’eternità come in una icona, è da realizzare mediante un cammino umano di fede. Proviamo a contemplarlo proprio in questo tempo quaresimale.
(Sergio Gandini)