Letture
Thomas Merton incontra Chuang Tzu
Nel capitolo XXXIII del Chuang Tzu, quello conclusivo, un compilatore anonimo, di tendenza sincretista che forse fu proprio colui che raccolse i materiali che costituiscono questo testo come ancora oggi ci appare, cerca di definire le caratteristiche fondamentali delle sei differenti scuole filosofiche che si dichiarano eredi della tradizione del Tao. Riferendosi appunto a Chuang Tzu forse caratterizza l’opera, fra le altre, con queste semplici parole che meritano di essere meditate. |
“Riteneva che il mondo fosse sprofondato nel fango e che non si potesse parlargli in un linguaggio misurato e formale(…). La sua comprensione del cambiamento e la sua analisi delle cose possiedono una logica insondabile e le sue conclusioni non possono essere facilmente liquidate. Astruso e oscuro, non è mai stato compreso fino in fondo”.
A un certo punto del suo percorso spirituale Thomas Merton incontra Chuang Tzu e forse dovremmo chiederci prima di tutto quando avvenne questo incontro. Tempo e Spazio.
Il risultato di questo incontro è The way of Chuang Tzu: nel 1965 il monaco trappista pubblica una traduzione del testo, non integrale, una sorta di scelta in cui risuonano contemporaneamente la voce dell’antica saggezza cinese e gli interessi del suo autore in assoluta spontaneità.
Si tratta dunque di uno degli ultimi testi ai quali si dedicò. Il crescente interesse verso le prassi meditative orientali appartiene quindi al periodo finale della ricerca di Merton e coincise con il suo ritirarsi in una sorta di eremo, una casetta costruita non lontano dal monastero, ma in una posizione isolata, nei boschi, per entrare in una relazione più diretta con quella esperienza di solitudine che è possibile dentro la natura. A partire dal 1964 prese infine l’abitudine di dormire anche nel suo eremo, dedicando anche un maggiore tempo alla meditazione mattutina.
Nei suoi Diari, testo fondamentale per comprendere la sua ricerca, compare proprio nel 1965 quest’annotazione: “…devo continuare a lavorare sulla meditazione…” (4.04.1965). È in questo tempo e spazio che Merton incontra Chuang Tzu.
Come dicevamo Merton offre una personale parafrasi del testo, ma potremmo domandarci come l’ha ottenuta dal momento che non conosceva il cinese e non può aver condotto questa traduzione direttamente sul testo. Come?
Il suo modo di procedere spontaneo può servire da esempio a ciascuno di noi. Con estrema semplicità cerca alcune delle traduzioni più valide a disposizione degli studiosi; ci piace immaginare che, per qualche termine più ricorrente e significante, abbia chiesto direttamente un consiglio all’amico Suzuki.
Proprio parlando tra amici possono maturare svariate intuizioni. Perciò, rinuncio volentieri al proposito di offrire al lettore una veloce quanto parziale ricostruzione della figura di Merton, contrariamente a quanto ho fatto in alcuni miei precedenti contributi, perché al lettore interessato in questo senso posso consigliare proprio il testo dell’amico Maciej, appena edito nel 2020: Meditazione spontanea. Il caso di Thomas Merton.
Questa indicazione mi consente perciò di entrare direttamente nel cuore del testo e delle problematiche che vorrei accennare senza però stancare eccessivamente il lettore, cercando di mantenere l’autentica freschezza del Tao, la Via dell’acqua che scorre.
“Conoscenza partì verso il nord alla ricerca del Tao. Giunse alle rive del Mare Oscuro e si arrampicò sulla montagna Altezze Nascoste. Lì incontrò Non Fare, il Silenzioso. “Ci sono tre domande che voglio porti,” disse Conoscenza. “La prima è: con quali tecniche di concentrazione o di meditazione posso arrivare a conoscere il Dao? La seconda: in quale eremo, con quali pratiche ascetiche posso trovare riposo nel Dao? E la terza: per quale via, con quale metodo posso arrivare al Dao?” Queste erano le tre domande di Conoscenza. Ma Non Fare, il Silenzioso, non rispose. Non solo non rispose: non sapeva neppure come rispondere!” (Chuang Tzu, XXII, 1)
Non sono certo domande di agevole e pronta risposta: sono domande essenziali per ogni autentico meditante, per colui che pratica da anni come per colui che sta solo muovendo i primi passi sulla Via.
E siccome vorrei anche offrire al lettore almeno un’indicazione di come si può procedere di fronte a un testo così ricco e complesso ci fermiamo un istante su questi strani personaggi: è ovvio che nel testo cinese si tratta di ardite quanto pregnanti personificazioni, una sorta di ipostasi intellettuali, ambigue nella loro stessa formulazione e che possono ovviamente prestarsi a svariate interpretazioni.
Così potremmo intendere: Mare oscuro oppure Acque Oscure oppure Mar delle Tenebre, come traduce Merton (ma si tratta già di una possibile scelta operata sull’originale inglese. Chiarisco poi che, nelle varianti successive, l’opzione di Merton compare sempre all’ultimo posto). Altezze Nascoste oppure Colle Coperto oppure Montagna Invisibile.
Non fare, il Silenzioso oppure Non-azione-non-parola oppure Non-azione-Colui che non parla. In verità il termine originale cinese che viene reso in questi modi differenti è il famoso wu-wei: letteralmente wu è solo la particella negativa, mentre wei indica l’agire. È forse il punto cardine del Taoismo che sovente viene ripreso nell’espressione wei wu wei che, in verità, può generare un’intera costellazione di significati: azione senza azione, agire senza sforzo oppure la capacità di agire mantenendo un perfetto equilibrio con la natura, senza interferire con la spontaneità della sua intrinseca.
Sulle rive del Mare Luminoso oppure delle Acque Chiare oppure il Mare della Luce. La montagna Dubbi Risolti oppure il Colle della Volpe Esaurita oppure la Montagna Luminosa chiamata “Fine del Dubbio”. E infine Conoscenza arriva a chiedere a Impulso Irriflesso oppure Folle Inclinazione oppure Agisci-d’impulso, il Profeta ispirato.
Così prosegue il testo: “Non avendo ottenuto risposta, Conoscenza si diresse verso il sud, raggiunse le rive del Mare Luminoso e si arrampicò sulla montagna Dubbi Risolti. Lì incontrò Impulso Irriflesso e gli sottopose le stesse tre domande. “Ah, certo!” esclamò Impulso Irriflesso. “Te lo dico subito!” Aprì la bocca per dire qualcosa, ma aveva già dimenticato cosa stava per dire. Non avendo ottenuto risposta, Conoscenza ritornò verso il centro, si diresse verso il palazzo imperiale e ottenne udienza dall’Imperatore Giallo”.
In questo dialogo dall’atmosfera onirica, tipica delle pagine più alte del Chuang Tzu, appare infine l’unico personaggio reale, per quanto la sua esistenza sia avvolta comunque nella leggenda, l’Imperatore Giallo. Al lettore poco esperto della letteratura cinese diciamo solo che Huang Di, soprannominato l’Imperatore Giallo, viene considerato come uno dei mitici fondatori della civiltà cinese. Secondo la tradizione, avrebbe regnato dal 2698 al 2598 a.C.; a lui la leggenda attribuisce il Nei Jing, il ‘classico della medicina interna’, e molte invenzioni, fra cui quelle dei veicoli a ruote, delle imbarcazioni e della ceramica.
E finalmente il mitico Imperatore risponde a Conoscenza: “Solo quando non c’è più né concentrazione né meditazione puoi arrivare a conoscere il Dao. Solo quando non abiti in alcun luogo e non pratichi alcunché puoi trovare riposo nel Dao. Solo quando non segui alcuna via e non hai alcun metodo puoi arrivare al Dao.”
A patto di non interpretare queste parole nei termini di una dichiarazione di scetticismo estremo, credo che sia difficile trovare in qualsiasi altro testo una formulazione più rigorosa e coerente della Via Apofatica. Riusciamo a stare davvero con questo Assoluto di Silenzio?
La prima a non riuscirci è ovviamente Conoscenza – ma come potremmo biasimarla? È del tutto coerente con il suo personaggio – che ancora aggiunge: “Tu lo sai e ora anch’io lo so. Ma gli altri due che ho interrogato non lo sapevano. Chi è nel vero?”
In questo caso l’Imperatore Giallo si mostra più paziente di certi saggi zen che si sarebbero limitati a un vigoroso colpo di bastone, compassionevole quanto un Buddha, e ancora aggiunge:
“Soltanto Non Azione, Colui-che-non parla, aveva perfettamente ragione. Egli non sapeva. Agisci-d’impulso, il Profeta ispirato, sembrava essere nel giusto solo perché aveva dimenticato. Quanto a noi non abbiamo affatto ragione, perché conosciamo le risposte. “Poiché chi sa non parla, e chi parla non sa, e il Saggio dà istruzioni senza far uso della parola”: (per inciso aggiungo che questo passaggio, in realtà, è una citazione diretta del Tao Te Ching di Lao Tzu, il classico cinese che viene considerato il fondamento del Taiosmo, rispettivamente dal capitolo 2 e dal capitolo 56). “Questa storia giunse ad Agisci-d’impulso, il quale approvò la versione che l’Imperatore Giallo aveva dato. Nessuna sa se Non-Azione venne mai a conoscenza della cosa e fece commenti”.
Dobbiamo al lettore un ultimo chiarimento. Abbiamo citato la conclusione di questo dialogo direttamente nella versione traduzione in lingua italiana del testo di Merton, mentre avevamo in precedenza seguito un’altra versione di questo classico preparata da un differente studioso.
Ma soprattutto, come un libro giallo scritto con acume, anch’io ho in serbo il colpo di scena finale: l’ultimo capoverso, “Nessuna sa se Non-Azione venne mai a conoscenza della cosa e fece commenti”, non è presente nel testo originale cinese. È solo un’aggiunta, una chiosa scritta di proprio pugno da Merton medesimo.
Più di un commentatore contemporaneo osserva che questa aggiunta è davvero coerente con lo spirito forse non del Tao, quanto con l’approccio unico e singolare di Chuang Tzu, e risuona davvero bene a conclusione di questo testo essenziale per il praticante di qualunque Via, in ogni tempo. Forse è così.
In quanto commentatore di un commentatore, a mia volta, non riesco a tacere e a negare a me stesso un’ultima parola. Mi viene in mente a questo punto il capitolo nono del Vimalakirti Nirdesa Sutra, uno dei grandi classici del Grande Veicolo Buddista, che affronta il tema centrale di tutto il sutra: “L’iniziazione al Dharma Non-Duale”. In questo contesto sono presenti ben trentadue Bodhisattva, ognuno dei quali è invitato da Vimalakirti che, forse è bene ricordarlo, è un semplice laico, a dare una propria definizione di che cosa si debba precisamente intendere per Dharma Non-Duale o, come lui stesso afferma, a offrire la propria comprensione di questo punto essenziale della Pratica Buddista.
Questo elenco di definizioni, ciascuna proposta da un Bodhisattva dal nome che contiene la sua stessa essenza, per esempio “Suprema virtù” oppure “Colui che non sbatte mai le palpebre”, esattamente come nelle suggestive espressioni che abbiamo già incontrato in questo capitolo del Chuang Tzu, credo sia in assoluto uno dei vertici della speculazione del Grande Veicolo Buddista. Al termine di questa stupenda ricerca, in cui ogni singola proposta di un Bodhisattva andrebbe a lungo analizzata e commentata, è Mañjśurī, che ricordiamo è considerato l’incarnazione stessa della Saggezza Trascendentale di tutti i Buddha, a chiedere a Vimalakirti la sua personale definizione del Dharma Non-Duale e: Vimalakirti rimase silenzioso senza pronunciare una parola (che cito nella mirabile traduzione dello studioso Charles Luk, Roma, Ubaldini Editore, 1982).
E dunque chiedo infine, a mia volta, al paziente lettore: forse Non-Azione non avrebbe fatto nessun commento, forse è bene che sia così ed è bene anche pensarlo per ciascun praticante, si arriva davvero ad un punto in cui occorre solo tacere, anche se ci sembra che si potrebbe aggiungere qualcosa. In realtà, si può sempre aggiungere qualcosa. Ma non è detto che, in questa estrema esigenza umana di chiedere ancora una volta di più, ci si muova anche di un solo passo nella direzione della Verità.
(Sergio Gandini)
A un certo punto del suo percorso spirituale Thomas Merton incontra Chuang Tzu e forse dovremmo chiederci prima di tutto quando avvenne questo incontro. Tempo e Spazio.
Il risultato di questo incontro è The way of Chuang Tzu: nel 1965 il monaco trappista pubblica una traduzione del testo, non integrale, una sorta di scelta in cui risuonano contemporaneamente la voce dell’antica saggezza cinese e gli interessi del suo autore in assoluta spontaneità.
Si tratta dunque di uno degli ultimi testi ai quali si dedicò. Il crescente interesse verso le prassi meditative orientali appartiene quindi al periodo finale della ricerca di Merton e coincise con il suo ritirarsi in una sorta di eremo, una casetta costruita non lontano dal monastero, ma in una posizione isolata, nei boschi, per entrare in una relazione più diretta con quella esperienza di solitudine che è possibile dentro la natura. A partire dal 1964 prese infine l’abitudine di dormire anche nel suo eremo, dedicando anche un maggiore tempo alla meditazione mattutina.
Nei suoi Diari, testo fondamentale per comprendere la sua ricerca, compare proprio nel 1965 quest’annotazione: “…devo continuare a lavorare sulla meditazione…” (4.04.1965). È in questo tempo e spazio che Merton incontra Chuang Tzu.
Come dicevamo Merton offre una personale parafrasi del testo, ma potremmo domandarci come l’ha ottenuta dal momento che non conosceva il cinese e non può aver condotto questa traduzione direttamente sul testo. Come?
Il suo modo di procedere spontaneo può servire da esempio a ciascuno di noi. Con estrema semplicità cerca alcune delle traduzioni più valide a disposizione degli studiosi; ci piace immaginare che, per qualche termine più ricorrente e significante, abbia chiesto direttamente un consiglio all’amico Suzuki.
Proprio parlando tra amici possono maturare svariate intuizioni. Perciò, rinuncio volentieri al proposito di offrire al lettore una veloce quanto parziale ricostruzione della figura di Merton, contrariamente a quanto ho fatto in alcuni miei precedenti contributi, perché al lettore interessato in questo senso posso consigliare proprio il testo dell’amico Maciej, appena edito nel 2020: Meditazione spontanea. Il caso di Thomas Merton.
Questa indicazione mi consente perciò di entrare direttamente nel cuore del testo e delle problematiche che vorrei accennare senza però stancare eccessivamente il lettore, cercando di mantenere l’autentica freschezza del Tao, la Via dell’acqua che scorre.
“Conoscenza partì verso il nord alla ricerca del Tao. Giunse alle rive del Mare Oscuro e si arrampicò sulla montagna Altezze Nascoste. Lì incontrò Non Fare, il Silenzioso. “Ci sono tre domande che voglio porti,” disse Conoscenza. “La prima è: con quali tecniche di concentrazione o di meditazione posso arrivare a conoscere il Dao? La seconda: in quale eremo, con quali pratiche ascetiche posso trovare riposo nel Dao? E la terza: per quale via, con quale metodo posso arrivare al Dao?” Queste erano le tre domande di Conoscenza. Ma Non Fare, il Silenzioso, non rispose. Non solo non rispose: non sapeva neppure come rispondere!” (Chuang Tzu, XXII, 1)
Non sono certo domande di agevole e pronta risposta: sono domande essenziali per ogni autentico meditante, per colui che pratica da anni come per colui che sta solo muovendo i primi passi sulla Via.
E siccome vorrei anche offrire al lettore almeno un’indicazione di come si può procedere di fronte a un testo così ricco e complesso ci fermiamo un istante su questi strani personaggi: è ovvio che nel testo cinese si tratta di ardite quanto pregnanti personificazioni, una sorta di ipostasi intellettuali, ambigue nella loro stessa formulazione e che possono ovviamente prestarsi a svariate interpretazioni.
Così potremmo intendere: Mare oscuro oppure Acque Oscure oppure Mar delle Tenebre, come traduce Merton (ma si tratta già di una possibile scelta operata sull’originale inglese. Chiarisco poi che, nelle varianti successive, l’opzione di Merton compare sempre all’ultimo posto). Altezze Nascoste oppure Colle Coperto oppure Montagna Invisibile.
Non fare, il Silenzioso oppure Non-azione-non-parola oppure Non-azione-Colui che non parla. In verità il termine originale cinese che viene reso in questi modi differenti è il famoso wu-wei: letteralmente wu è solo la particella negativa, mentre wei indica l’agire. È forse il punto cardine del Taoismo che sovente viene ripreso nell’espressione wei wu wei che, in verità, può generare un’intera costellazione di significati: azione senza azione, agire senza sforzo oppure la capacità di agire mantenendo un perfetto equilibrio con la natura, senza interferire con la spontaneità della sua intrinseca.
Sulle rive del Mare Luminoso oppure delle Acque Chiare oppure il Mare della Luce. La montagna Dubbi Risolti oppure il Colle della Volpe Esaurita oppure la Montagna Luminosa chiamata “Fine del Dubbio”. E infine Conoscenza arriva a chiedere a Impulso Irriflesso oppure Folle Inclinazione oppure Agisci-d’impulso, il Profeta ispirato.
Così prosegue il testo: “Non avendo ottenuto risposta, Conoscenza si diresse verso il sud, raggiunse le rive del Mare Luminoso e si arrampicò sulla montagna Dubbi Risolti. Lì incontrò Impulso Irriflesso e gli sottopose le stesse tre domande. “Ah, certo!” esclamò Impulso Irriflesso. “Te lo dico subito!” Aprì la bocca per dire qualcosa, ma aveva già dimenticato cosa stava per dire. Non avendo ottenuto risposta, Conoscenza ritornò verso il centro, si diresse verso il palazzo imperiale e ottenne udienza dall’Imperatore Giallo”.
In questo dialogo dall’atmosfera onirica, tipica delle pagine più alte del Chuang Tzu, appare infine l’unico personaggio reale, per quanto la sua esistenza sia avvolta comunque nella leggenda, l’Imperatore Giallo. Al lettore poco esperto della letteratura cinese diciamo solo che Huang Di, soprannominato l’Imperatore Giallo, viene considerato come uno dei mitici fondatori della civiltà cinese. Secondo la tradizione, avrebbe regnato dal 2698 al 2598 a.C.; a lui la leggenda attribuisce il Nei Jing, il ‘classico della medicina interna’, e molte invenzioni, fra cui quelle dei veicoli a ruote, delle imbarcazioni e della ceramica.
E finalmente il mitico Imperatore risponde a Conoscenza: “Solo quando non c’è più né concentrazione né meditazione puoi arrivare a conoscere il Dao. Solo quando non abiti in alcun luogo e non pratichi alcunché puoi trovare riposo nel Dao. Solo quando non segui alcuna via e non hai alcun metodo puoi arrivare al Dao.”
A patto di non interpretare queste parole nei termini di una dichiarazione di scetticismo estremo, credo che sia difficile trovare in qualsiasi altro testo una formulazione più rigorosa e coerente della Via Apofatica. Riusciamo a stare davvero con questo Assoluto di Silenzio?
La prima a non riuscirci è ovviamente Conoscenza – ma come potremmo biasimarla? È del tutto coerente con il suo personaggio – che ancora aggiunge: “Tu lo sai e ora anch’io lo so. Ma gli altri due che ho interrogato non lo sapevano. Chi è nel vero?”
In questo caso l’Imperatore Giallo si mostra più paziente di certi saggi zen che si sarebbero limitati a un vigoroso colpo di bastone, compassionevole quanto un Buddha, e ancora aggiunge:
“Soltanto Non Azione, Colui-che-non parla, aveva perfettamente ragione. Egli non sapeva. Agisci-d’impulso, il Profeta ispirato, sembrava essere nel giusto solo perché aveva dimenticato. Quanto a noi non abbiamo affatto ragione, perché conosciamo le risposte. “Poiché chi sa non parla, e chi parla non sa, e il Saggio dà istruzioni senza far uso della parola”: (per inciso aggiungo che questo passaggio, in realtà, è una citazione diretta del Tao Te Ching di Lao Tzu, il classico cinese che viene considerato il fondamento del Taiosmo, rispettivamente dal capitolo 2 e dal capitolo 56). “Questa storia giunse ad Agisci-d’impulso, il quale approvò la versione che l’Imperatore Giallo aveva dato. Nessuna sa se Non-Azione venne mai a conoscenza della cosa e fece commenti”.
Dobbiamo al lettore un ultimo chiarimento. Abbiamo citato la conclusione di questo dialogo direttamente nella versione traduzione in lingua italiana del testo di Merton, mentre avevamo in precedenza seguito un’altra versione di questo classico preparata da un differente studioso.
Ma soprattutto, come un libro giallo scritto con acume, anch’io ho in serbo il colpo di scena finale: l’ultimo capoverso, “Nessuna sa se Non-Azione venne mai a conoscenza della cosa e fece commenti”, non è presente nel testo originale cinese. È solo un’aggiunta, una chiosa scritta di proprio pugno da Merton medesimo.
Più di un commentatore contemporaneo osserva che questa aggiunta è davvero coerente con lo spirito forse non del Tao, quanto con l’approccio unico e singolare di Chuang Tzu, e risuona davvero bene a conclusione di questo testo essenziale per il praticante di qualunque Via, in ogni tempo. Forse è così.
In quanto commentatore di un commentatore, a mia volta, non riesco a tacere e a negare a me stesso un’ultima parola. Mi viene in mente a questo punto il capitolo nono del Vimalakirti Nirdesa Sutra, uno dei grandi classici del Grande Veicolo Buddista, che affronta il tema centrale di tutto il sutra: “L’iniziazione al Dharma Non-Duale”. In questo contesto sono presenti ben trentadue Bodhisattva, ognuno dei quali è invitato da Vimalakirti che, forse è bene ricordarlo, è un semplice laico, a dare una propria definizione di che cosa si debba precisamente intendere per Dharma Non-Duale o, come lui stesso afferma, a offrire la propria comprensione di questo punto essenziale della Pratica Buddista.
Questo elenco di definizioni, ciascuna proposta da un Bodhisattva dal nome che contiene la sua stessa essenza, per esempio “Suprema virtù” oppure “Colui che non sbatte mai le palpebre”, esattamente come nelle suggestive espressioni che abbiamo già incontrato in questo capitolo del Chuang Tzu, credo sia in assoluto uno dei vertici della speculazione del Grande Veicolo Buddista. Al termine di questa stupenda ricerca, in cui ogni singola proposta di un Bodhisattva andrebbe a lungo analizzata e commentata, è Mañjśurī, che ricordiamo è considerato l’incarnazione stessa della Saggezza Trascendentale di tutti i Buddha, a chiedere a Vimalakirti la sua personale definizione del Dharma Non-Duale e: Vimalakirti rimase silenzioso senza pronunciare una parola (che cito nella mirabile traduzione dello studioso Charles Luk, Roma, Ubaldini Editore, 1982).
E dunque chiedo infine, a mia volta, al paziente lettore: forse Non-Azione non avrebbe fatto nessun commento, forse è bene che sia così ed è bene anche pensarlo per ciascun praticante, si arriva davvero ad un punto in cui occorre solo tacere, anche se ci sembra che si potrebbe aggiungere qualcosa. In realtà, si può sempre aggiungere qualcosa. Ma non è detto che, in questa estrema esigenza umana di chiedere ancora una volta di più, ci si muova anche di un solo passo nella direzione della Verità.
(Sergio Gandini)