Il tema con variazioni più famoso della storia della musica,
ovvero “La Follia”
Quando si parla del tema della Follia appaiono subito alla mente le versioni di Corelli e Vivaldi, di certo le più famose e più eseguite in concerto, in quanto affidate al violino (nel caso di Vivaldi addirittura due), ovvero lo strumento principe del periodo barocco poiché capace di strabilianti virtuosismi.
In questo ambito non tratteremo esclusivamente della versione di Vivaldi o di Corelli, bensì più in generale, partendo da quelle che sono le forme strumentali principali del periodo che va dal ‘500 al ‘700 giungeremo poi a spiegare le origini del tema della Follia, compresa la sua etimologia. Sarà anche indispensabile soffermarsi brevemente su quelle che sono le caratteristiche musicali della Follia sia dal punto di vista formale che ritmico e melodico e infine, facendo anche un breve excursus tra i musicisti più famosi che hanno composto il loro set di variazioni su questo tema, interrogarci sui motivi che ne hanno determinato una tale fortuna. Ricordiamo infatti che esso è stato messo in musica da più di 150 compositori nell’arco dei secoli.
Soffermarsi principalmente sul periodo che abbraccia i secoli XVI-XVIII non è fuori luogo e nemmeno riduttivo. È questo difatti l’arco temporale in cui si concentrano la maggior parte delle composizioni basate sul tema della Follia. Stiamo parlando quindi di un periodo che, a partire dal tardo rinascimento, abbraccia tutto il Barocco, e si spinge un po’ oltre con il periodo Galante (tardo Settecento) e classico (prime decadi dell’Ottocento).
Partendo dunque dal XVI secolo, le due forme strumentali più importanti erano, per quel che riguarda gli strumenti da tasto, a canne o a pizzico, il Ricercare, derivato dal mottetto e legato alla polifonia vocale sacra e la Toccata, dallo spigliato carattere virtuosistico, maggiormente basata sulla libera improvvisazione dell’ esecutore.
Accanto a quelli da tasto, l’altro strumento molto diffuso all’epoca era il liuto. Era usato sia per accompagnare il canto, sia come strumento solistico su cui eseguire trascrizioni di opere vocali polifoniche di carattere sacro, ma anche, se non soprattutto, di canzoni popolari profane (frottole, strambotti, canzoni). Allo stesso tempo sul liuto si eseguivano delle danze strumentali: per lo più Pavane, Gagliarde e Allemande. In queste trascrizioni per liuto denominate intabulature, il musicista comincia a far uso di diminuzioni ed ornamentazioni, siano essi abbellimenti oppure passaggi più o meno estesi. In altre parole comincia a fare delle proprie variazioni basate su una melodia o una sequenza armonica e ritmica molto riconoscibili. Si tratta di un repertorio di chiara matrice popolare, ma che divenne così diffuso (ne sono una preziosa testimonianza il proliferare di pubblicazioni a stampa di raccolte di intavolature per liuto a inizio ‘500) che riesce a farsi spazio anche negli ambienti più colti delle corti.
Con la seconda metà del secolo, questo repertorio passa di rimando dal liuto agli strumenti da tasto: verso la fine del Cinquecento in Italia in primis, ma anche in Spagna e Inghilterra, dove nacque la scuola tastieristica dei virginalisti, si afferma e si affina il concetto di variazione, una forma musicale che si protrarrà nel corso dei secoli, definendo per lungo tempo la struttura stessa delle composizioni, sia vocali che per strumenti. Infine, nel ‘500 cominciò a diffondersi anche la forma della Sonata, per uno o più strumenti. Con le sonate comincia ad affermarsi di conseguenza un genere polistrumentale, per i vari strumenti a fiato e ad arco che ne erano i solisti, e la pratica di accompagnamento detta basso continuo.
A partire dalla seconda metà Seicento, con l’avvento della musica barocca, queste forme musicali si evolvono: la forma sonata si sviluppa fino ad arrivare alla forma del Concerto, sia come Concerto Solistico, quando dedicato a uno strumento in particolare, che come Concerto Grosso, destinato pertanto a un insieme orchestrale.
Parallelamente, l’evoluzione del Ricercare genera la forma contrappuntistica chiamata Fuga, mentre alle danze cinquecentesche se ne aggiungono delle nuove e più moderne (le varie correnti, sarabande, gighe, minuetti, gavotte, bourée) che venivano suonate di seguito, secondo un ordine prestabilito, a partire da un preludio, in composizioni denominate Suite. Ma ciò che qui più interessa è che in questo stesso periodo storico, dallo sviluppo della variazione derivarono altre forme, come la Partita, la Passacaglia e la Ciaccona: tutte composizioni essenzialmente monostrumentali, composte per la maggior parte per strumento da tasto, ma anche per violino (lo strumento che in epoca barocca aveva ormai soppiantato il liuto) oppure per viola da gamba (quest’ultimo strumento più diffuso in ambito francese).
Molti dei compositori più importanti di questi secoli, nella quasi totalità dei casi grandi virtuosi del proprio strumento, si cimentavano dunque in libere improvvisazioni sia per studio che in concerto, così come oggi farebbe un jazzista o un bluesman. E queste improvvisazioni risultavano tanto più ‘efficaci’ quanto più il tema o il giro armonico su cui si basavano erano conosciuti, accattivanti, per certi versi funzionali, ma in ogni caso tali da permettere di dimostrare le proprie capacità di virtuosi del proprio strumento piuttosto che la propria inventiva come compositori. E tra i vari brani popolari diffusi in Europa a partire dal ‘500, il tema della Follia fu sicuramente uno tra quelli, se non quello par excellence che corrispondeva a simili caratteristiche.
Le origini di questo tema musicale, uno dei più antichi della storia europea, si possono far risalire alle tradizioni popolari del tardo Medioevo. Nacque come danza popolare portoghese dal carattere movimentato, allegro e chiassoso, che univa contadini e pastori in canti e balli nelle feste di carattere popolare e profano. Un primo resoconto ci è dato da Gil Vincente (1465-1536), il più importante commediografo e poeta del teatro rinascimentale portoghese, attivo alla corte di Lisbona. Egli menziona in numerosi suoi testi una folìa come una danza ballata da pastori e contadini ed accompagnata da canti vivaci, molto probabilmente in occasione di talune festività ricorrenti. Il fatto che il tema musicale sia di matrice popolare e che le sue origini rimandino al Portogallo sembra essere confermato anche dal celebre trattato “De musica libri septem” pubblicato nel 1577 ad opera di Francisco de Salinas (1513-1590), un musicologo, organista ed erudito umanista.
Tuttavia il carattere vivace e di allegria quasi sfrenata che viene usato per descrivere la natura del tema musicale (il termine stesso, folìa, significa in effetti “folle divertimento, baldoria, sollazzo”) sembra non corrispondere esattamente a molte delle composizioni a noi pervenute. Queste, basate sull’incedere ritmico e cadenzato della Sarabanda, assumono piuttosto un carattere e un tono severo e maestoso.
In verità esistono due diverse versioni di Follia: una più antica, di cui abbiamo poche documentazioni in musica spesso discordanti, e una seconda Follia, definita tarda, quella più comunemente conosciuta. Quest’ultima prese forma dalle prime elaborazioni sul tema ad opera di alcuni compositori spagnoli come Diego Ortiz, Juan del Encina e Antonio de Cabezón intorno alla metà del Cinquecento. Pertanto possiamo affermare che se la Follia antica, più veloce e vivace, poteva assumere varie forme musicali, nella seconda parte della sua storia essa diventa un’idea musicale molto più definita che si affranca dal vecchio tessuto ‘grezzo’ e popolare, dalle tonalità chiassose ed allegre, per vestire i panni austeri e finemente ricamati con cui farà poi il suo ingresso nelle corti d’Europa. Durante questo processo essa poi assume nomi diversi in base alle aree geografiche: in Francia, ad esempio, era conosciuta come le Folies d’Espagne mentre in Inghilterra come Faronell’s ground.
Per quel che riguarda le caratteristiche musicali, e pertanto facendone una breve analisi formale, ritmica e melodica, la tarda Follia si cristallizza in uno schema ben preciso sia da un punto di vista metrico (è divisa in due frasi di 8 battute ciascuna) che da un punto di vista ritmico (è basata sul tempo ternario e solenne della Sarabanda) e infine da un punto di vista armonico: essa segue una successione di accordi ben precisa che a sua volta poggia su una linea di basso che si ripete in modo ostinato e che serve dunque come base per la composizione (ovvero una Passacaglia).
Soffermarsi principalmente sul periodo che abbraccia i secoli XVI-XVIII non è fuori luogo e nemmeno riduttivo. È questo difatti l’arco temporale in cui si concentrano la maggior parte delle composizioni basate sul tema della Follia. Stiamo parlando quindi di un periodo che, a partire dal tardo rinascimento, abbraccia tutto il Barocco, e si spinge un po’ oltre con il periodo Galante (tardo Settecento) e classico (prime decadi dell’Ottocento).
Partendo dunque dal XVI secolo, le due forme strumentali più importanti erano, per quel che riguarda gli strumenti da tasto, a canne o a pizzico, il Ricercare, derivato dal mottetto e legato alla polifonia vocale sacra e la Toccata, dallo spigliato carattere virtuosistico, maggiormente basata sulla libera improvvisazione dell’ esecutore.
Accanto a quelli da tasto, l’altro strumento molto diffuso all’epoca era il liuto. Era usato sia per accompagnare il canto, sia come strumento solistico su cui eseguire trascrizioni di opere vocali polifoniche di carattere sacro, ma anche, se non soprattutto, di canzoni popolari profane (frottole, strambotti, canzoni). Allo stesso tempo sul liuto si eseguivano delle danze strumentali: per lo più Pavane, Gagliarde e Allemande. In queste trascrizioni per liuto denominate intabulature, il musicista comincia a far uso di diminuzioni ed ornamentazioni, siano essi abbellimenti oppure passaggi più o meno estesi. In altre parole comincia a fare delle proprie variazioni basate su una melodia o una sequenza armonica e ritmica molto riconoscibili. Si tratta di un repertorio di chiara matrice popolare, ma che divenne così diffuso (ne sono una preziosa testimonianza il proliferare di pubblicazioni a stampa di raccolte di intavolature per liuto a inizio ‘500) che riesce a farsi spazio anche negli ambienti più colti delle corti.
Con la seconda metà del secolo, questo repertorio passa di rimando dal liuto agli strumenti da tasto: verso la fine del Cinquecento in Italia in primis, ma anche in Spagna e Inghilterra, dove nacque la scuola tastieristica dei virginalisti, si afferma e si affina il concetto di variazione, una forma musicale che si protrarrà nel corso dei secoli, definendo per lungo tempo la struttura stessa delle composizioni, sia vocali che per strumenti. Infine, nel ‘500 cominciò a diffondersi anche la forma della Sonata, per uno o più strumenti. Con le sonate comincia ad affermarsi di conseguenza un genere polistrumentale, per i vari strumenti a fiato e ad arco che ne erano i solisti, e la pratica di accompagnamento detta basso continuo.
A partire dalla seconda metà Seicento, con l’avvento della musica barocca, queste forme musicali si evolvono: la forma sonata si sviluppa fino ad arrivare alla forma del Concerto, sia come Concerto Solistico, quando dedicato a uno strumento in particolare, che come Concerto Grosso, destinato pertanto a un insieme orchestrale.
Parallelamente, l’evoluzione del Ricercare genera la forma contrappuntistica chiamata Fuga, mentre alle danze cinquecentesche se ne aggiungono delle nuove e più moderne (le varie correnti, sarabande, gighe, minuetti, gavotte, bourée) che venivano suonate di seguito, secondo un ordine prestabilito, a partire da un preludio, in composizioni denominate Suite. Ma ciò che qui più interessa è che in questo stesso periodo storico, dallo sviluppo della variazione derivarono altre forme, come la Partita, la Passacaglia e la Ciaccona: tutte composizioni essenzialmente monostrumentali, composte per la maggior parte per strumento da tasto, ma anche per violino (lo strumento che in epoca barocca aveva ormai soppiantato il liuto) oppure per viola da gamba (quest’ultimo strumento più diffuso in ambito francese).
Molti dei compositori più importanti di questi secoli, nella quasi totalità dei casi grandi virtuosi del proprio strumento, si cimentavano dunque in libere improvvisazioni sia per studio che in concerto, così come oggi farebbe un jazzista o un bluesman. E queste improvvisazioni risultavano tanto più ‘efficaci’ quanto più il tema o il giro armonico su cui si basavano erano conosciuti, accattivanti, per certi versi funzionali, ma in ogni caso tali da permettere di dimostrare le proprie capacità di virtuosi del proprio strumento piuttosto che la propria inventiva come compositori. E tra i vari brani popolari diffusi in Europa a partire dal ‘500, il tema della Follia fu sicuramente uno tra quelli, se non quello par excellence che corrispondeva a simili caratteristiche.
Le origini di questo tema musicale, uno dei più antichi della storia europea, si possono far risalire alle tradizioni popolari del tardo Medioevo. Nacque come danza popolare portoghese dal carattere movimentato, allegro e chiassoso, che univa contadini e pastori in canti e balli nelle feste di carattere popolare e profano. Un primo resoconto ci è dato da Gil Vincente (1465-1536), il più importante commediografo e poeta del teatro rinascimentale portoghese, attivo alla corte di Lisbona. Egli menziona in numerosi suoi testi una folìa come una danza ballata da pastori e contadini ed accompagnata da canti vivaci, molto probabilmente in occasione di talune festività ricorrenti. Il fatto che il tema musicale sia di matrice popolare e che le sue origini rimandino al Portogallo sembra essere confermato anche dal celebre trattato “De musica libri septem” pubblicato nel 1577 ad opera di Francisco de Salinas (1513-1590), un musicologo, organista ed erudito umanista.
Tuttavia il carattere vivace e di allegria quasi sfrenata che viene usato per descrivere la natura del tema musicale (il termine stesso, folìa, significa in effetti “folle divertimento, baldoria, sollazzo”) sembra non corrispondere esattamente a molte delle composizioni a noi pervenute. Queste, basate sull’incedere ritmico e cadenzato della Sarabanda, assumono piuttosto un carattere e un tono severo e maestoso.
In verità esistono due diverse versioni di Follia: una più antica, di cui abbiamo poche documentazioni in musica spesso discordanti, e una seconda Follia, definita tarda, quella più comunemente conosciuta. Quest’ultima prese forma dalle prime elaborazioni sul tema ad opera di alcuni compositori spagnoli come Diego Ortiz, Juan del Encina e Antonio de Cabezón intorno alla metà del Cinquecento. Pertanto possiamo affermare che se la Follia antica, più veloce e vivace, poteva assumere varie forme musicali, nella seconda parte della sua storia essa diventa un’idea musicale molto più definita che si affranca dal vecchio tessuto ‘grezzo’ e popolare, dalle tonalità chiassose ed allegre, per vestire i panni austeri e finemente ricamati con cui farà poi il suo ingresso nelle corti d’Europa. Durante questo processo essa poi assume nomi diversi in base alle aree geografiche: in Francia, ad esempio, era conosciuta come le Folies d’Espagne mentre in Inghilterra come Faronell’s ground.
Per quel che riguarda le caratteristiche musicali, e pertanto facendone una breve analisi formale, ritmica e melodica, la tarda Follia si cristallizza in uno schema ben preciso sia da un punto di vista metrico (è divisa in due frasi di 8 battute ciascuna) che da un punto di vista ritmico (è basata sul tempo ternario e solenne della Sarabanda) e infine da un punto di vista armonico: essa segue una successione di accordi ben precisa che a sua volta poggia su una linea di basso che si ripete in modo ostinato e che serve dunque come base per la composizione (ovvero una Passacaglia).
Su questa struttura l’esecutore era libero di improvvisare e le variazioni possono presentare tempi e svolgimenti melodici diversissimi secondo l’estro del musicista che le elaborava, sia in forma di improvvisazione estemporanea che di composizione scritta. E’ altresì fondamentale notare come, nel caso della Follia, queste variazioni fanno dunque riferimento alla struttura armonica spiegata poc’anzi e non a una melodia riconosciuta e riconoscibile. E se anche a un certo punto questa ci appare codificata sotto le vesti di una linea melodica ben precisa, essa è più che altro una diretta e naturale conseguenza della progressione armonica sottostante. In sintesi, possiamo affermare che le variazioni sulla Follia non sono variazioni basate su un tema melodico, bensì sono variazioni basate su una sequenza armonica ben definita e in forma di Passacaglia.
Vediamo dunque quali sono i compositori più illustri che hanno messo in musica il tema della Follia. Abbiamo già detto degli esempi cinquecenteschi di tarda follia e che comprendono i lavori di Juan del Encina nel 1520, Diego Ortiz nel 1553 e Antonio de Cabezón nel 1557. Una citazione particolare merita Girolamo Frescobaldi, il più importante organista e compositore del primo barocco italiano, il quale inserì una serie di variazioni (Partite sopra folia) nel Primo libro di toccate d'intavolatura di cimbalo et organo (Roma 1637), anche se il tema non è quello della tarda follia.
Tra gli studiosi si conviene invece sia stato Jean Baptiste Lully nel 1672 a introdurre per la prima volta questa antica danza popolare nella forma definitiva, facendola eseguire dalla Grand Ecurie, la banda militare della corte di Luigi XV.
Successivamente, per citare solo i nomi più illustri, abbiamo le versioni di Bernardo Pasquini verso la fine del ‘600 (Partite diverse di Follia, da Sonate per gravecembalo); Arcangelo Corelli nel 1700 (Sonata per Violino op. 5 n. 12), Marin Marais nel 1701 (Pièces de Violes, 2e Livre); Antonio Vivaldi nel 1705 (Sonata in Trio op. 1 n. 12); Alessandro Scarlatti nel 1715 (29 partite sopra l’Aria della Folia nel Secondo libro per clavicembalo); François Couperin nel 1722 (Les Folies françoises, ou Les Dominos dal Troisieme livre de pieces de clavecin); Francesco Geminiani nel 1726-27 (Concerto grosso in re minore op. 5 n. 12); Georg Friedrich Händel nel 1733 (Sarabanda dalla Suite per clavicembalo in Re minore n. 11); J. S. Bach nel 1742 (Cantata dei contadini BWV 212).
Tra i compositori più famosi di fine ‘700 vanno ricordati Carl Philipp Emmanuel Bach, il quale ha composto 12 variazioni sul tema “Les Folies d’espagne” per clavicembalo/fortepiano nel 1778 e Antonio Salieri, autore invece di 26 variazioni per orchestra nel 1815.
Nel XIX secolo la popolarità del tema diminuisce alquanto, ma esso ricompare qua e là, più o meno modificato, per esempio nella Quinta Sinfonia di Beethoven, mentre Franz Liszt incluse una versione della Folia nella sua Rhapsodie espagnole. Meritano una menzione anche le variazioni per chitarra di Mauro Giuliani.
La Folia, ancora una volta riacquistò interesse nel corso del XX secolo. Nel 1931 Sergei Rachmaninov la utilizzerà nelle sue Variazioni su un tema di Corelli mentre due anni prima fu il compositore messicano Manuel María Ponce a utilizzarla nelle sue Variazioni su Folia de España e Fuga per chitarra. Ai giorni nostri se ne trova ancora qualche traccia e vale la pena citare la versione di Vangelis, che nel 1992, a cinque secoli dalla spedizione di Cristoforo Colombo, ne ha preso spunto per la colonna sonora del film “1492: la conquista del paradiso”.
Quali sono dunque i motivi che hanno fatto sì che questo tema abbia avuto tanta fortuna e tanta longevità? In qualche modo abbiamo già risposto. La Follia, preso il nome dal carattere vivace e mosso della danza che la sosteneva, diventò un’idea musicale autonoma e riuscì ad emergere sul finire del cinquecento come prezioso strumento armonico e melodico in grado di farsi strada negli ambiti della musica colta conquistando, in particolare, i favori delle corti europee. Essa si va a mescolare, a intrecciare con le danze di corte assumendo la forma armonica di una passacaglia, ossia di variazioni su un basso ostinato, e il carattere ritmico-melodico di una Sarabanda, una danza lenta, solenne e in tempo ternario. Una struttura semplice eppure ricca di molteplici possibilità espressive, con cui i compositori dei secoli successivi, di volta in volta vinti dal suo mistero, si sono confrontati arrivando ad elaborare alcune tra le più toccanti e suggestive “variazioni su tema”.
Vediamo dunque quali sono i compositori più illustri che hanno messo in musica il tema della Follia. Abbiamo già detto degli esempi cinquecenteschi di tarda follia e che comprendono i lavori di Juan del Encina nel 1520, Diego Ortiz nel 1553 e Antonio de Cabezón nel 1557. Una citazione particolare merita Girolamo Frescobaldi, il più importante organista e compositore del primo barocco italiano, il quale inserì una serie di variazioni (Partite sopra folia) nel Primo libro di toccate d'intavolatura di cimbalo et organo (Roma 1637), anche se il tema non è quello della tarda follia.
Tra gli studiosi si conviene invece sia stato Jean Baptiste Lully nel 1672 a introdurre per la prima volta questa antica danza popolare nella forma definitiva, facendola eseguire dalla Grand Ecurie, la banda militare della corte di Luigi XV.
Successivamente, per citare solo i nomi più illustri, abbiamo le versioni di Bernardo Pasquini verso la fine del ‘600 (Partite diverse di Follia, da Sonate per gravecembalo); Arcangelo Corelli nel 1700 (Sonata per Violino op. 5 n. 12), Marin Marais nel 1701 (Pièces de Violes, 2e Livre); Antonio Vivaldi nel 1705 (Sonata in Trio op. 1 n. 12); Alessandro Scarlatti nel 1715 (29 partite sopra l’Aria della Folia nel Secondo libro per clavicembalo); François Couperin nel 1722 (Les Folies françoises, ou Les Dominos dal Troisieme livre de pieces de clavecin); Francesco Geminiani nel 1726-27 (Concerto grosso in re minore op. 5 n. 12); Georg Friedrich Händel nel 1733 (Sarabanda dalla Suite per clavicembalo in Re minore n. 11); J. S. Bach nel 1742 (Cantata dei contadini BWV 212).
Tra i compositori più famosi di fine ‘700 vanno ricordati Carl Philipp Emmanuel Bach, il quale ha composto 12 variazioni sul tema “Les Folies d’espagne” per clavicembalo/fortepiano nel 1778 e Antonio Salieri, autore invece di 26 variazioni per orchestra nel 1815.
Nel XIX secolo la popolarità del tema diminuisce alquanto, ma esso ricompare qua e là, più o meno modificato, per esempio nella Quinta Sinfonia di Beethoven, mentre Franz Liszt incluse una versione della Folia nella sua Rhapsodie espagnole. Meritano una menzione anche le variazioni per chitarra di Mauro Giuliani.
La Folia, ancora una volta riacquistò interesse nel corso del XX secolo. Nel 1931 Sergei Rachmaninov la utilizzerà nelle sue Variazioni su un tema di Corelli mentre due anni prima fu il compositore messicano Manuel María Ponce a utilizzarla nelle sue Variazioni su Folia de España e Fuga per chitarra. Ai giorni nostri se ne trova ancora qualche traccia e vale la pena citare la versione di Vangelis, che nel 1992, a cinque secoli dalla spedizione di Cristoforo Colombo, ne ha preso spunto per la colonna sonora del film “1492: la conquista del paradiso”.
Quali sono dunque i motivi che hanno fatto sì che questo tema abbia avuto tanta fortuna e tanta longevità? In qualche modo abbiamo già risposto. La Follia, preso il nome dal carattere vivace e mosso della danza che la sosteneva, diventò un’idea musicale autonoma e riuscì ad emergere sul finire del cinquecento come prezioso strumento armonico e melodico in grado di farsi strada negli ambiti della musica colta conquistando, in particolare, i favori delle corti europee. Essa si va a mescolare, a intrecciare con le danze di corte assumendo la forma armonica di una passacaglia, ossia di variazioni su un basso ostinato, e il carattere ritmico-melodico di una Sarabanda, una danza lenta, solenne e in tempo ternario. Una struttura semplice eppure ricca di molteplici possibilità espressive, con cui i compositori dei secoli successivi, di volta in volta vinti dal suo mistero, si sono confrontati arrivando ad elaborare alcune tra le più toccanti e suggestive “variazioni su tema”.