Letture
Camminando con i Padri: storie di monaci nel deserto.
Padre Cronio ovvero le Scritture come traccia interiore.
Padre Cronio ovvero le Scritture come traccia interiore.
Con questo contributo iniziamo un percorso di approfondimento sui Padri del Deserto, fenomeno di ascetismo dei primi secoli del Cristianesimo, collocato geograficamente tra Egitto e Palestina e storicamente nel contesto delle sorti dell’Impero romano, nell’arco di tempo ricompreso tra il IV e il VI sec. d. C. L’intento è quello di dare un seguito e una sistemazione ai seminari che Meditatio sta conducendo sui Padri del Deserto durante i ritiri mensili residenziali che si tengono nella cornice dell’Eremo di San Fidenzio (VR), dove si ha modo, approfittando del silenzio esterno, di coltivare uno studio e una prassi che ci conducano a riscoprire un aspetto della mistica cristiana. |
Per un inquadramento storico e una introduzione generale sui Padri, si rinvia alla video-intervista rilasciata da Maciej Bielawski © visibile al link https://www.youtube.com/watch?v=EO--pf_cOic&t=2193s, che si suggerisce di ascoltare attentamente prima di intraprendere gli approfondimenti monografici che qui si intende ricostruire.
Quanto a questi ultimi, nulla di suo personale vuole trasmettere la scrivente se non un punto di vista, una chiave di lettura sull’insegnamento dei Padri come trasmesso da Maciej Bielawski durante le sue lezioni nel corso dei ritiri. Su sua autorizzazione e approvazione, ci accingiamo perciò a sistemare e condividere quanto seguirà in queste e altre pagine, al solo fine di rendere l’avvicinamento ai Padri quanto più agevole e stimolate possibile, in vista di un personale, intimo e spontaneo approfondimento individuale.
Fatta questa doverosa premessa, iniziamo con
Padre Cronio
Ritiro San Fidenzio 21 – 23 ottobre 2022.
Nel variegato e popolatissimo panorama ascetico qui considerato, Padre Cronio potrebbe essere definito un minore, uno il cui nome non risuona come quelli di altri Padri, noti anche ai profani, come Antonio, Arsenio, Evagrio.
Della sua biografia poco si sa e su di lui poche fonti scritte sono reperibili.
Ciò che ci interessa in questo viaggio con i Padri del Deserto è principalmente rintracciare, in ognuno di essi, quei valori, quelle virtù, quelle prassi che hanno tramandato e che, in un quadro d’insieme, costituiscono la mappatura interiore e spirituale dei Padri complessivamente considerati.
La domanda principale è: in che cosa consiste la spiritualità dei Padri del Deserto?
Maciej risponde come segue: nello studio dei testi (le Scritture in primis) e nella prassi di vita. Lo studio dei testi dà supporto allo stile di vita. La vita è inserita nel contesto di una prassi di studio e meditazione formale. Così la ricerca spirituale diventa una prassi.
Ogni Padre ha i suoi temi-chiave di riferimento, elementi topici su cui concentra la sua ricerca e la sua prassi meditativa, il motivo del suo ritirarsi nel deserto e il senso del suo rimanervi.
Padre Cronio nasce tra il 285 e il 290 d.C. Come quasi tutti i Padri del Deserto, non ha lasciato scritti suoi. Ciò che di lui si sa lo recuperiamo, come di consueto, in alcune fonti essenziali della bibliografia sui Padri: la Storia dei monaci in Egitto (Historia Monachorum), scritta da un gruppo di “pellegrini spirituali”, come ama definirli Maciej, intorno al 400; la Storia Lausiaca (Historia Lausiaca) di Palladio (419-420); i Detti dei Padri del deserto (Apophtegmata Patrum). Per approfondimenti sulla bibliografia, si rinvia all’intervista e al link sopra citati.
Iniziamo proprio dai Detti, riportando la breve introduzione che il curatore dell’edizione di cui ci siamo serviti durante il ritiro premette ai pochi apoftegmi sotto la voce “Cronio”:
«L’abbiamo già incontrato come maestro di Isacco delle Celle (cf. p. 251), e come compagno di Ierace (cf. p. 262). Sia Palladio che l’autore dell’Historia Monachorum attestano di averlo incontrato a Nitria, molto avanzato negli anni. Nato forse verso il 285 in un villaggio della Fenicia, si fece monaco in un cenobio; quindi, secondo le parole da lui stesso dette a Palladio, “preso dall’accidia”, fuggì dal monastero ed “errando” giunse al “monte del venerabile Antonio”, cioè a Pisper. Ivi rimase per qualche tempo alla scuola del grande anziano, cui talvolta faceva da interprete greco, perché Antonio non parlava che egiziano. S’inoltrò quindi nel deserto di Nitria, dove scavò miracolosamente un pozzo d’ottima acqua. Si radunarono attorno a lui dei monaci. Fu elevato al sacerdozio, che esercitò per sessant’anni. Si racconta di lui che in tutti questi anni non uscì dal deserto e non mangiò un pezzo di pane che non fosse guadagnato col lavoro delle sue mani. La Historia Monachorum dà di lui una rapida e densa testimonianza: “Abbiamo visto anche un altro padre di monaci, di nome Cronio, che era già avanzato fina a una bella vecchiaia, era stato uno degli antichi compagni di Antonio e aveva 110 anni. Ci fece molte esortazioni e ammonizioni, ma considerava se stesso come un niente, tanto grande era l’umiltà che aveva custodito fino alla vecchiaia”». (C. XX, 13).
(Vita e detti dei padri del deserto, ed. Città nuova, pp. 284 -285).
Cronio, quindi, fu allievo del ben più noto Padre Antonio, cd. il Grande (250 -356), di cui tantissimo sappiamo soprattutto grazie alla biografia su di lui scritta da San Atanasio. Ha avuto una vita lunghissima se è vero che è vissuto almeno 110 anni, come sopra ricordato. Dal monte Pisper, dove dimorava Padre Antonio, presso il quale Cronio rimase a lungo, si spostò a Nitria. Fu erede e testimone dell’insegnamento di Antonio, di cui racconta vita ed aneddoti, trasmessi poi oralmente a chi a lui si avvicinava.
A Nitria fu sacerdote, quindi inserito nel mondo della chiesa imperiale, ed ebbe a sua volta allievi. Cronio è esempio e testimonianza della possibilità, non rara, di conciliare l’aspirazione ascetica con la vita religiosa inquadrata nei ranghi della Chiesa.
Il frammento XX, 13, dell’ Historia Monachorum sopra riportato, è il più antico su Cronio.
Cosa colpisce i viaggiatori di questo anzianissimo monaco? L’umiltà: stimava se stesso una nullità e aveva osservato l’umiltà fino all’età più tarda.
Che cos’è l’umiltà?
“L’umiltà è una virtù che va coltivata, che non capita; è un atteggiamento interiore e chiede di essere praticata per essere sviluppata; l’umiltà non si dice, si fa! l’umiltà si medita, l’umiltà si conserva, si mantiene; l’umiltà è l’opposto del montarsi la testa” (Maciej).
«Un fratello chiese al padre Cronio: “In che modo l’uomo giunge all’umiltà?” Dice a lui l’anziano. “Attraverso il timore di Dio”. E il fratello dice: “Ma come si arriva al timore di Dio?”. “Secondo me – dice l’anziano – ritirandosi da ogni occupazione e dandosi alle fatiche del corpo e pensando con tutte le forze all’uscita dal corpo e al giudizio di Dio”»
(Da Vita e Detti, cit., n. 3, pag. 286)
La porta verso l’umiltà è il timore di Dio; e il timore di Dio si acquista tra altro ritirandosi dalle occupazioni della vita, mettendo distanza, radicandosi nelle fatiche del corpo.
«Cronio, il presbitero della Nitria, mi raccontò: “Quando ero più giovane fui preso dal tedio (=accidia/akedia, come dice il testo originale) e fuggii dal monastero del mio archimandrita; vagando giunsi al monte del santo Antonio, che sorgeva tra Babilonia ed Eraclea, verso il grande deserto che conduce al mar Rosso, a circa trenta miglia dal fiume” (…)»
(Da Historia Lausiaca, 21,1).
Chi scrive è Palladio, che incontra Cronio personalmente e riceve da lui il racconto di come egli avesse conosciuto il suo maestro Antonio. Al di là delle informazioni biografiche, già sinteticamente descritte, l’indicazione che il frammento fornisce è chiara: dall’accidia si fugge. Il giovane Cronio fugge dal luogo protetto dove faceva vita da monaco a causa dell’accidia che lo assale e cerca altro, altrove. E vaga fino ad arrivare al monte dove era Antonio. E lì si ferma e resta a lungo.
Che cos’è l’accidia?
E’ un momento importantissimo e inevitabile nella vita spirituale, un immancabile ostacolo lungo il sentiero di un ricercatore interiore. E’ quell’esperienza in cui ci si imbatte dopo l’entusiasmo iniziale e dopo anni di prassi quando il dubbio assale e il mordente scema. Quando la pratica nutriente si trasforma in deserto, quando ci si annoia e il disgusto ci prende. Ma dall’accidia si fugge, si deve fuggire. Non è solo la ricerca di un altro maestro e non è un inseguire maestri. E’ un opporsi in modo attivo al male oscuro. Cronio fugge, cerca, trova, si ferma. Cronio non viene accolto subito da Antonio; Antonio non lo voleva.
Ritorniamo ai pochi frammenti che i Detti riportano su Cronio.
Il frammento numero 5 racconta una storia nella storia, un racconto di seconda mano. Cronio narra un episodio a lui raccontato da un altro padre: Cronio insegna attraverso racconti.
«Il padre Cronio disse che il padre Giuseppe di Pelusio aveva raccontato: “Quando ero al Sinai, vi era un fratello buono e asceta, e anche bello fisicamente. E veniva in chiesa per la liturgia con un vecchio mantello corto e stracciato (…) Una volta avvenne che i padri dovettero inviare dieci fratelli dall’imperatore per una necessità. E scelsero anche lui per mandarlo con gli altri; ma egli, saputolo, si prostrò di fronte ai padri dicendo: - Perdonatemi in nome del Signore; io sono schiavo di uno di quei grandi di laggiù; se mi riconoscessero, mi toglierebbe l’abito e mi riprenderebbe al suo servizio. I padri, persuasi, non lo fecero partire. Seppero in seguito, da qualcuno che lo conosceva bene, che nel mondo era stato prefetto pretorio. Per questo aveva trovato quella scusa, per non essere riconosciuto e disturbato dalla gente. Tale era il desiderio dei padri, di fuggire la gloria e il sollievo di questo mondo»
(Vita e detti, cit. pagg. 286 -287).
Ancora una volta la fuga, il desiderio di fuggire. Fuggire da cosa?
Possiamo qui giusto accennare all’insegnamento principale che si ricava dal testo ossia il desiderio di nascondimento tipico dei Padri. La fuga dalla gloria, la rinuncia alla fama. E’ un nascondersi per proteggersi, un ritirarsi per non essere divorati dalla vita mondana. E allo stesso tempo, un’esigenza di tenere custodita la ricerca interiore, mai ostentata, mai fenomeno di piazza o da stadio. “Attenzione alle modalità di divulgazione. La vita contemplativa va nascosta” (Maciej).
Le Scritture
Cronio è un fine conoscitore delle Scritture che cita sapientemente in modo anche criptico. I pochi altri frammenti riportati negli Apoftegmata rivelano questa sua peculiarità.
Era tipico dei Padri conoscere a memoria buona parte delle Scritture, recitarle, ruminarle. Esse costituivano il faro della loro vita interiore e il traguardo a cui puntare nella loro ricerca individuale e solitaria nonché strumento di lotta contro gli assalti del male. Riportare stralci delle Scritture, fedelmente o allusivamente, diventa il modo consueto di meditare questi testi sacri. Ma spesso l’esegesi diventa difficile laddove il fatto storico riportato nasconda un insegnamento spirituale che non necessariamente si può rivelare a tutti. Non possiamo qui soffermarci sulla disputa che ruota intorno alla figura di Origene, centrale in questo contesto, e sull’influsso che la sua dottrina hanno avuto sui Padri del Deserto. Possiamo però provare ad accostarci alla spigolosità e difficoltà interpretativa dei testi biblici tradizionali attraverso l’uso fatto dai Padri. Una sorta di linguaggio in codice, un insegnamento che trascende spesso la lettera delle parole profetiche o evangeliche.
Uno di questi esempi è offerto dal frammento numero 1 dei Detti.
«Un fratello chiese al padre Cronio: “Dimmi una parola”. Gli disse: “Quando Eliseo venne dalla Sunamita, vide che essa non aveva rapporti con nessuno; per la presenza di Eliseo concepì e generò (cfr. 2 Re 4, 8 ss). Dice di lui il fratello: “Che significa questa parola?” E l’anziano dice: “Quando l’anima è vigilante (sobria, trad. Maciej) e si raccoglie dalla distrazione, e abbandona le sue volontà, viene in lei lo Spirito di Dio; allora può generare, essa che è sterile”».
“Dimmi una parola”, questa esortazione è spesso rivolta ai Padri dai discepoli, dai viandanti, da chiunque fosse in cerca del bandolo nel suo cammino o in un momento di smarrimento. Ma, di fronte a questa invocazione del povero fratello, Cronio risponde in maniera talmente oscura che il fratello è più smarrito di prima e chiede infatti che cosa voglia dire ciò che gli ha detto.
L’episodio della Sunamita, riportato dal Libro dei Re, ha il sapore di un aneddoto erotico. Ma Cronio lo interpreta in chiave ascetica: la Sunamita è l’anima ed Eliseo è lo Spirito. Quando l’anima è pronta e aperta riesce a cogliere la presenza di Dio. Solo recuperando la sua sobrietà l’anima riesce a generare qualcosa di spirituale.
Che cos’è la sobrietà?
Nel linguaggio dei Padri, sobrietà (=nepsis) è una qualità interiore che denota mancanza di spasmi, è un raccogliersi e un ritirarsi da atteggiamenti consueti che impediscono di vedere le cose così come sono.
Il frammento 2 dei Detti è oltremodo criptico e introduce un altro topos della spiritualità dei Padri:
«Un fratello chiese a padre Cronio: “Che cosa devo fare contro la dimenticanza, che rende prigioniera la mia mente (nous) e mi impedisce di accorgermi, tanto che porta fino al peccato?”. Gli dice l’anziano: “Quando, per il cattivo comportamento dei figli di Eli, le genti straniere si impadronirono dell’arca, la trascinarono finché l’ebbero condotta al tempio di Dagon loro dio, e questi cadde per terra bocconi (cfr Sam 5, 1 ss)”. E Dice il fratello: ”Che cosa significa questo?”. E L’anziano disse: “Se la mente dell’uomo si lascia imprigionare dalle proprie inclinazioni, esse la trascinano finché l’abbino condotta sopra a una passione invisibile. Se in quel luogo la mente volge a cercare Dio e si ricorda del giudizio eterno, subito la passione cade e si dilegua. Sta scritto infatti: Quando ti volgerai gemendo, allora sarai salvato e capirai dove eri».
La dimenticanza è léthe dimenticarsi di Dio.
La mente si dimentica della presenza di Dio. L’insegnamento dei Padri è “Ricordarsi di Dio”. Quando l’uomo si dimentica di Dio, tutto è perduto, tutto si frammenta (cf. Gregorio Sinaita). Per non cadere nella dimenticanza, va esercitata la memoria.
Come si fa? Fondamentale appare qui il richiamo al nous.
Nous è la facoltà con cui l’essere umano è in grado di sentire il divino, è una facoltà che può essere anche chiamata anima o cuore. Non è pensiero, non è facoltà intellettiva o razionale.
Il nous imprigionato nelle sue inclinazioni, sogna, si perde nei ragionamenti, non contempla; osserva il pensiero ossessivo, si avvolge su se stesso.
Chiudiamo con il frammento n. 4 dei Detti che racconta del roveto ardente.
«Il padre Cronio disse che, se Mosè non avesse condotto il gregge fino al monte Sinai, non avrebbe visto il fuoco nel roveto. “E come deve interpretarsi il roveto?” chiese il fratello all’anziano. Gli dice: “Il roveto significa la fatica del corpo; è scritto infatti: Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo”. Dice il fratello all’anziano: “Dunque senza la fatica del corpo l’uomo non giunge a valere nulla?” Dice a lui l’anziano. “Sta scritto: Tenendo lo sguardo fisso all’autore e perfezionatore della fede, Gesù, il quale, in cambio del gaudio che gli era proposto, sopportò la croce; e anche David dice: non darò riposo ai miei occhi né quiete alle mie palpebre, e il seguito».
24 aprile 2023
(Annunziata Candida Fusco)
Quanto a questi ultimi, nulla di suo personale vuole trasmettere la scrivente se non un punto di vista, una chiave di lettura sull’insegnamento dei Padri come trasmesso da Maciej Bielawski durante le sue lezioni nel corso dei ritiri. Su sua autorizzazione e approvazione, ci accingiamo perciò a sistemare e condividere quanto seguirà in queste e altre pagine, al solo fine di rendere l’avvicinamento ai Padri quanto più agevole e stimolate possibile, in vista di un personale, intimo e spontaneo approfondimento individuale.
Fatta questa doverosa premessa, iniziamo con
Padre Cronio
Ritiro San Fidenzio 21 – 23 ottobre 2022.
Nel variegato e popolatissimo panorama ascetico qui considerato, Padre Cronio potrebbe essere definito un minore, uno il cui nome non risuona come quelli di altri Padri, noti anche ai profani, come Antonio, Arsenio, Evagrio.
Della sua biografia poco si sa e su di lui poche fonti scritte sono reperibili.
Ciò che ci interessa in questo viaggio con i Padri del Deserto è principalmente rintracciare, in ognuno di essi, quei valori, quelle virtù, quelle prassi che hanno tramandato e che, in un quadro d’insieme, costituiscono la mappatura interiore e spirituale dei Padri complessivamente considerati.
La domanda principale è: in che cosa consiste la spiritualità dei Padri del Deserto?
Maciej risponde come segue: nello studio dei testi (le Scritture in primis) e nella prassi di vita. Lo studio dei testi dà supporto allo stile di vita. La vita è inserita nel contesto di una prassi di studio e meditazione formale. Così la ricerca spirituale diventa una prassi.
Ogni Padre ha i suoi temi-chiave di riferimento, elementi topici su cui concentra la sua ricerca e la sua prassi meditativa, il motivo del suo ritirarsi nel deserto e il senso del suo rimanervi.
Padre Cronio nasce tra il 285 e il 290 d.C. Come quasi tutti i Padri del Deserto, non ha lasciato scritti suoi. Ciò che di lui si sa lo recuperiamo, come di consueto, in alcune fonti essenziali della bibliografia sui Padri: la Storia dei monaci in Egitto (Historia Monachorum), scritta da un gruppo di “pellegrini spirituali”, come ama definirli Maciej, intorno al 400; la Storia Lausiaca (Historia Lausiaca) di Palladio (419-420); i Detti dei Padri del deserto (Apophtegmata Patrum). Per approfondimenti sulla bibliografia, si rinvia all’intervista e al link sopra citati.
Iniziamo proprio dai Detti, riportando la breve introduzione che il curatore dell’edizione di cui ci siamo serviti durante il ritiro premette ai pochi apoftegmi sotto la voce “Cronio”:
«L’abbiamo già incontrato come maestro di Isacco delle Celle (cf. p. 251), e come compagno di Ierace (cf. p. 262). Sia Palladio che l’autore dell’Historia Monachorum attestano di averlo incontrato a Nitria, molto avanzato negli anni. Nato forse verso il 285 in un villaggio della Fenicia, si fece monaco in un cenobio; quindi, secondo le parole da lui stesso dette a Palladio, “preso dall’accidia”, fuggì dal monastero ed “errando” giunse al “monte del venerabile Antonio”, cioè a Pisper. Ivi rimase per qualche tempo alla scuola del grande anziano, cui talvolta faceva da interprete greco, perché Antonio non parlava che egiziano. S’inoltrò quindi nel deserto di Nitria, dove scavò miracolosamente un pozzo d’ottima acqua. Si radunarono attorno a lui dei monaci. Fu elevato al sacerdozio, che esercitò per sessant’anni. Si racconta di lui che in tutti questi anni non uscì dal deserto e non mangiò un pezzo di pane che non fosse guadagnato col lavoro delle sue mani. La Historia Monachorum dà di lui una rapida e densa testimonianza: “Abbiamo visto anche un altro padre di monaci, di nome Cronio, che era già avanzato fina a una bella vecchiaia, era stato uno degli antichi compagni di Antonio e aveva 110 anni. Ci fece molte esortazioni e ammonizioni, ma considerava se stesso come un niente, tanto grande era l’umiltà che aveva custodito fino alla vecchiaia”». (C. XX, 13).
(Vita e detti dei padri del deserto, ed. Città nuova, pp. 284 -285).
Cronio, quindi, fu allievo del ben più noto Padre Antonio, cd. il Grande (250 -356), di cui tantissimo sappiamo soprattutto grazie alla biografia su di lui scritta da San Atanasio. Ha avuto una vita lunghissima se è vero che è vissuto almeno 110 anni, come sopra ricordato. Dal monte Pisper, dove dimorava Padre Antonio, presso il quale Cronio rimase a lungo, si spostò a Nitria. Fu erede e testimone dell’insegnamento di Antonio, di cui racconta vita ed aneddoti, trasmessi poi oralmente a chi a lui si avvicinava.
A Nitria fu sacerdote, quindi inserito nel mondo della chiesa imperiale, ed ebbe a sua volta allievi. Cronio è esempio e testimonianza della possibilità, non rara, di conciliare l’aspirazione ascetica con la vita religiosa inquadrata nei ranghi della Chiesa.
Il frammento XX, 13, dell’ Historia Monachorum sopra riportato, è il più antico su Cronio.
Cosa colpisce i viaggiatori di questo anzianissimo monaco? L’umiltà: stimava se stesso una nullità e aveva osservato l’umiltà fino all’età più tarda.
Che cos’è l’umiltà?
“L’umiltà è una virtù che va coltivata, che non capita; è un atteggiamento interiore e chiede di essere praticata per essere sviluppata; l’umiltà non si dice, si fa! l’umiltà si medita, l’umiltà si conserva, si mantiene; l’umiltà è l’opposto del montarsi la testa” (Maciej).
«Un fratello chiese al padre Cronio: “In che modo l’uomo giunge all’umiltà?” Dice a lui l’anziano. “Attraverso il timore di Dio”. E il fratello dice: “Ma come si arriva al timore di Dio?”. “Secondo me – dice l’anziano – ritirandosi da ogni occupazione e dandosi alle fatiche del corpo e pensando con tutte le forze all’uscita dal corpo e al giudizio di Dio”»
(Da Vita e Detti, cit., n. 3, pag. 286)
La porta verso l’umiltà è il timore di Dio; e il timore di Dio si acquista tra altro ritirandosi dalle occupazioni della vita, mettendo distanza, radicandosi nelle fatiche del corpo.
«Cronio, il presbitero della Nitria, mi raccontò: “Quando ero più giovane fui preso dal tedio (=accidia/akedia, come dice il testo originale) e fuggii dal monastero del mio archimandrita; vagando giunsi al monte del santo Antonio, che sorgeva tra Babilonia ed Eraclea, verso il grande deserto che conduce al mar Rosso, a circa trenta miglia dal fiume” (…)»
(Da Historia Lausiaca, 21,1).
Chi scrive è Palladio, che incontra Cronio personalmente e riceve da lui il racconto di come egli avesse conosciuto il suo maestro Antonio. Al di là delle informazioni biografiche, già sinteticamente descritte, l’indicazione che il frammento fornisce è chiara: dall’accidia si fugge. Il giovane Cronio fugge dal luogo protetto dove faceva vita da monaco a causa dell’accidia che lo assale e cerca altro, altrove. E vaga fino ad arrivare al monte dove era Antonio. E lì si ferma e resta a lungo.
Che cos’è l’accidia?
E’ un momento importantissimo e inevitabile nella vita spirituale, un immancabile ostacolo lungo il sentiero di un ricercatore interiore. E’ quell’esperienza in cui ci si imbatte dopo l’entusiasmo iniziale e dopo anni di prassi quando il dubbio assale e il mordente scema. Quando la pratica nutriente si trasforma in deserto, quando ci si annoia e il disgusto ci prende. Ma dall’accidia si fugge, si deve fuggire. Non è solo la ricerca di un altro maestro e non è un inseguire maestri. E’ un opporsi in modo attivo al male oscuro. Cronio fugge, cerca, trova, si ferma. Cronio non viene accolto subito da Antonio; Antonio non lo voleva.
Ritorniamo ai pochi frammenti che i Detti riportano su Cronio.
Il frammento numero 5 racconta una storia nella storia, un racconto di seconda mano. Cronio narra un episodio a lui raccontato da un altro padre: Cronio insegna attraverso racconti.
«Il padre Cronio disse che il padre Giuseppe di Pelusio aveva raccontato: “Quando ero al Sinai, vi era un fratello buono e asceta, e anche bello fisicamente. E veniva in chiesa per la liturgia con un vecchio mantello corto e stracciato (…) Una volta avvenne che i padri dovettero inviare dieci fratelli dall’imperatore per una necessità. E scelsero anche lui per mandarlo con gli altri; ma egli, saputolo, si prostrò di fronte ai padri dicendo: - Perdonatemi in nome del Signore; io sono schiavo di uno di quei grandi di laggiù; se mi riconoscessero, mi toglierebbe l’abito e mi riprenderebbe al suo servizio. I padri, persuasi, non lo fecero partire. Seppero in seguito, da qualcuno che lo conosceva bene, che nel mondo era stato prefetto pretorio. Per questo aveva trovato quella scusa, per non essere riconosciuto e disturbato dalla gente. Tale era il desiderio dei padri, di fuggire la gloria e il sollievo di questo mondo»
(Vita e detti, cit. pagg. 286 -287).
Ancora una volta la fuga, il desiderio di fuggire. Fuggire da cosa?
Possiamo qui giusto accennare all’insegnamento principale che si ricava dal testo ossia il desiderio di nascondimento tipico dei Padri. La fuga dalla gloria, la rinuncia alla fama. E’ un nascondersi per proteggersi, un ritirarsi per non essere divorati dalla vita mondana. E allo stesso tempo, un’esigenza di tenere custodita la ricerca interiore, mai ostentata, mai fenomeno di piazza o da stadio. “Attenzione alle modalità di divulgazione. La vita contemplativa va nascosta” (Maciej).
Le Scritture
Cronio è un fine conoscitore delle Scritture che cita sapientemente in modo anche criptico. I pochi altri frammenti riportati negli Apoftegmata rivelano questa sua peculiarità.
Era tipico dei Padri conoscere a memoria buona parte delle Scritture, recitarle, ruminarle. Esse costituivano il faro della loro vita interiore e il traguardo a cui puntare nella loro ricerca individuale e solitaria nonché strumento di lotta contro gli assalti del male. Riportare stralci delle Scritture, fedelmente o allusivamente, diventa il modo consueto di meditare questi testi sacri. Ma spesso l’esegesi diventa difficile laddove il fatto storico riportato nasconda un insegnamento spirituale che non necessariamente si può rivelare a tutti. Non possiamo qui soffermarci sulla disputa che ruota intorno alla figura di Origene, centrale in questo contesto, e sull’influsso che la sua dottrina hanno avuto sui Padri del Deserto. Possiamo però provare ad accostarci alla spigolosità e difficoltà interpretativa dei testi biblici tradizionali attraverso l’uso fatto dai Padri. Una sorta di linguaggio in codice, un insegnamento che trascende spesso la lettera delle parole profetiche o evangeliche.
Uno di questi esempi è offerto dal frammento numero 1 dei Detti.
«Un fratello chiese al padre Cronio: “Dimmi una parola”. Gli disse: “Quando Eliseo venne dalla Sunamita, vide che essa non aveva rapporti con nessuno; per la presenza di Eliseo concepì e generò (cfr. 2 Re 4, 8 ss). Dice di lui il fratello: “Che significa questa parola?” E l’anziano dice: “Quando l’anima è vigilante (sobria, trad. Maciej) e si raccoglie dalla distrazione, e abbandona le sue volontà, viene in lei lo Spirito di Dio; allora può generare, essa che è sterile”».
“Dimmi una parola”, questa esortazione è spesso rivolta ai Padri dai discepoli, dai viandanti, da chiunque fosse in cerca del bandolo nel suo cammino o in un momento di smarrimento. Ma, di fronte a questa invocazione del povero fratello, Cronio risponde in maniera talmente oscura che il fratello è più smarrito di prima e chiede infatti che cosa voglia dire ciò che gli ha detto.
L’episodio della Sunamita, riportato dal Libro dei Re, ha il sapore di un aneddoto erotico. Ma Cronio lo interpreta in chiave ascetica: la Sunamita è l’anima ed Eliseo è lo Spirito. Quando l’anima è pronta e aperta riesce a cogliere la presenza di Dio. Solo recuperando la sua sobrietà l’anima riesce a generare qualcosa di spirituale.
Che cos’è la sobrietà?
Nel linguaggio dei Padri, sobrietà (=nepsis) è una qualità interiore che denota mancanza di spasmi, è un raccogliersi e un ritirarsi da atteggiamenti consueti che impediscono di vedere le cose così come sono.
Il frammento 2 dei Detti è oltremodo criptico e introduce un altro topos della spiritualità dei Padri:
«Un fratello chiese a padre Cronio: “Che cosa devo fare contro la dimenticanza, che rende prigioniera la mia mente (nous) e mi impedisce di accorgermi, tanto che porta fino al peccato?”. Gli dice l’anziano: “Quando, per il cattivo comportamento dei figli di Eli, le genti straniere si impadronirono dell’arca, la trascinarono finché l’ebbero condotta al tempio di Dagon loro dio, e questi cadde per terra bocconi (cfr Sam 5, 1 ss)”. E Dice il fratello: ”Che cosa significa questo?”. E L’anziano disse: “Se la mente dell’uomo si lascia imprigionare dalle proprie inclinazioni, esse la trascinano finché l’abbino condotta sopra a una passione invisibile. Se in quel luogo la mente volge a cercare Dio e si ricorda del giudizio eterno, subito la passione cade e si dilegua. Sta scritto infatti: Quando ti volgerai gemendo, allora sarai salvato e capirai dove eri».
La dimenticanza è léthe dimenticarsi di Dio.
La mente si dimentica della presenza di Dio. L’insegnamento dei Padri è “Ricordarsi di Dio”. Quando l’uomo si dimentica di Dio, tutto è perduto, tutto si frammenta (cf. Gregorio Sinaita). Per non cadere nella dimenticanza, va esercitata la memoria.
Come si fa? Fondamentale appare qui il richiamo al nous.
Nous è la facoltà con cui l’essere umano è in grado di sentire il divino, è una facoltà che può essere anche chiamata anima o cuore. Non è pensiero, non è facoltà intellettiva o razionale.
Il nous imprigionato nelle sue inclinazioni, sogna, si perde nei ragionamenti, non contempla; osserva il pensiero ossessivo, si avvolge su se stesso.
Chiudiamo con il frammento n. 4 dei Detti che racconta del roveto ardente.
«Il padre Cronio disse che, se Mosè non avesse condotto il gregge fino al monte Sinai, non avrebbe visto il fuoco nel roveto. “E come deve interpretarsi il roveto?” chiese il fratello all’anziano. Gli dice: “Il roveto significa la fatica del corpo; è scritto infatti: Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo”. Dice il fratello all’anziano: “Dunque senza la fatica del corpo l’uomo non giunge a valere nulla?” Dice a lui l’anziano. “Sta scritto: Tenendo lo sguardo fisso all’autore e perfezionatore della fede, Gesù, il quale, in cambio del gaudio che gli era proposto, sopportò la croce; e anche David dice: non darò riposo ai miei occhi né quiete alle mie palpebre, e il seguito».
24 aprile 2023
(Annunziata Candida Fusco)