Letture
Pema Chodron (Deidre Blomfied – Brown, New York 1936), monaca buddhista di tradizione tibetana, si è avvicinata al buddhismo dopo aver svolto vita da laica, moglie madre e insegnante, negli anni ’70. Discepola di Chogyam Trungpa Rinpoche dal 1971 al 1987, anno della morte del maestro, è stata ordinata dapprima monaca a Londra da sua santità il XVI Karmapa poi nominata abate di Gampo Abbey (Cape Breton, Nuova Scozia, Canada), primo monastero di buddhismo tibetano per occidentali.
Pema Chodron, sulle orme del suo maestro, ha continuato l’opera di adattamento della tradizione tibetana al mondo occidentale, rendendo il più possibile gli insegnamenti di questa antica tradizione praticabili nella vita di tutti i giorni. Ha scritto numerosi libri, per la maggior parte trascrizioni di suoi discorsi e insegnamenti che l’hanno vista in giro per il mondo. Tra i più significativi: Se il mondo ti crolla addosso e Senza via di scampo. Nel 2006 nasce la Pema Chodron Foundation per la conservazione e la continuazione dei suoi insegnamenti.
In queste brevi note vorrei soffermarmi su un libretto forse meno noto di Pema eppure molto nutriente: Fallisci, fallisci ancora, fallisci meglio. Saggi consigli per affidarsi all’ignoto, Edizioni Il punto d’incontro, prima edizione italiana 2016 (titolo originale Fail, fail again, fail better, prima ed. 2015). Il libro si compone di due brevi sezioni: la prima è il discorso tenuto da Pema nel 2014 in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi ai laureati alla Naropa University di Boulder, in Colorado, una università fondata, come si dice nel libro stesso, dal maestro di Pema, Chogyam Trungpa Rinpoche. Pema aveva promesso a sua nipote che avrebbe tenuto un discorso in occasione della sua laurea e infatti il libro contiene la dedica a sua nipote Alexandria. La seconda si intitola Sdraiarsi sui chiodi appuntiti ed è una intervista della giornalista Tami Simon a Pema, una conversazione sul fallimento appunto. La monaca ultraottuagenaria trova nell’invito a fallire meglio l’augurio più significativo che possa fare a giovani neolaureati proiettati verso un futuro ignoto.
La sfida più grande è capovolgere le coordinate ordinarie: tutti vogliono avere successo; siamo considerati di successo quando le cose vanno proprio nel modo in cui noi desideriamo. Quindi, fallire significa che le cose sono andate proprio nel modo in cui non volevamo. E allora? Come affrontare il fallimento? Come fallire? E poi, come arrivare a “fallire meglio”?
Quando la vita non va come avevamo programmato, quando le cose non girano come avremmo voluto, quando ci sentiamo schiacciati dai nostri insuccessi, quando sembra che non riusciamo a pilotare la nostra vita nella direzione che ci eravamo imposti come affrontiamo tutto ciò? “Normalmente ci sono due modi in cui noi affrontiamo una cosa del genere. Diamo la colpa a qualcuno o a qualcos’altro: il sistema, il nostro capo, il nostro compagno o qualsiasi altra cosa. Ci allontaniamo dal dolore, dalla sopportazione del dolore per la vulnerabilità del nostro cuore, incolpando qualcuno o qualcosa”. Inoltre, l’altra cosa che facciamo è sentirci un fallimento. “Abbiamo la sensazione che ci sia qualcosa di fondamentalmente sbagliato in noi”.
Come reagire a tutto ciò? “Uno dei modi per tirarsi su o per aiutarsi a reggere tutto ciò è iniziare a chiedersi cosa accade davvero quando c’è un fallimento”. L’esortazione è essere curiosi, chiedendosi cosa ci sta accadendo, dove sento le sensazioni dolorose e come posso trasformarle. “Diventare curiosi riguardo alle circostanze esteriori e a come vi influenzano, notando cosa rivelano le parole e qual è la vostra discussione interiore: questa è la chiave. Se ci sono molti sono repellente, sono terribile, notatelo in qualche modo e forse si attenuerà un po'. Ditevi piuttosto: cosa sto sentendo? Forse ciò che sta accadendo non è che sono un fallimento, sto solo soffrendo. Sto solo soffrendo”.
Insomma, come l’autrice spiega meglio nell’intervista a fine libro, piuttosto che avvolgerci nei sensi di colpa, nei pensieri che continuano a ripeterci che siamo un fallimento, proviamo a dire a noi stessi non sono un fallimento, non sono sbagliato/a, ma semplicemente ho sbagliato. Il mezzo è sviluppare l’attitudine a dirsi che non c’è niente di male in noi e dirsi che andiamo bene così, sdraiandoci sui chiodi appuntiti. Sdraiarsi sui chiodi appuntiti significa non andare via, ma andare verso. “La domanda non è come posso fare per uscire da questa realtà orrenda? Ma come posso andarle incontro?” E la risposta è che non esistono metodi da applicare, non esisto ricette preparate, ognuno riesce a trovare da sé la via d’uscita rimanendo a contatto con il dolore, le sensazioni allo stomaco o nel corpo, adagiandosi in esse per lasciarle andare. Mi pare davvero illuminante constatare come anche Pema riesca amorevolmente a indirizzare verso un cammino interiore senza fornire istruzioni per l’uso.
L’insegnamento del suo maestro è di non affidarsi a metodi da applicare meccanicamente. “L’unico metodo che avevamo, di fatto, era la meditazione da seduti shamatha-vipassana, la meditazione del respiro e la pratica tonglen. Ma non c’erano metodi per uscire gradualmente dalle sensazioni sgradevoli quando ci sentivamo male rispetto a noi stessi…; la gente ha la saggezza per risolvere le cose da sola, e quando ci si rende conto di avere trovato la soluzione da soli si conquista una grande fiducia in se stessi”. L’osservazione, la capacità di stare con il dolore del fallimento, riconoscendolo per poi lasciarlo andare sono mezzi utili sicuramente con i piccoli fallimenti, con i fallimenti più o meno ricorrenti della nostra vita quotidiana. Ma come darsi pace quando effettivamente sperimentiamo la consapevolezza di aver fatto davvero qualcosa di male, di aver davvero ferito qualcuno in maniera grave? La strada è la stessa: quando hai fatto qualcosa che veramente ha ferito qualcuno, quando hai provocato una sofferenza irrimediabile, il consiglio è lo stesso: rimani onesto con te stesso, riconosci il male che hai fatto e il dolore che hai provocato, riconosci che c’è rimorso dentro di te, fallo emergere. “Se lo riconosco, posso lasciarlo andare. Se non lo riconosco, non posso lasciarlo andare. Lascia che il rimorso perfori il tuo cuore allora potrai metterlo da parte e non portartelo dietro per il resto della vita”.
Può essere utile dire a noi stessi “ho fatto qualcosa di immorale”. Ecco, anche di fronte a tutto ciò, non scappare, ma restare presenti, sentire fino in fondo cosa si avverte ad aver sbagliato tutto, ad aver ferito qualcuno gravemente. Non fuggire in distrazioni, nell’alcool, nella televisione o nello shopping, ma provare a dedicare la propria vita, con le proprie azioni, alla persona che abbiamo ferito. Anche quando queste persone non ci sono più, facciamo azioni e dedichiamole a loro. “Tienili in mente e quando fai delle cose dì Vi dedico questo per il vostro benessere”. “Quindi quello che sto dicendo è: fallisci. Poi fallisci ancora, e poi forse comincerai a lavorare su alcune delle cose che sto dicendo. E quando accade di nuovo, quando le cose non funzionano, fallisci meglio. In altre parole, sei in grado di affrontare la sensazione di fallimento invece di nasconderla sotto il tappeto, accusando qualcun altro, inventandoti un’immagine di te negativa o altre strategie inutili di questo tipo. Fallire meglio vuol dire iniziare ad avere la capacità di sostenere ... la dolorosa vulnerabilità del tuo cuore, e a vederla come la tua connessione con altri esseri umani e come una parte della tua umanità. Fallire meglio significa che quando queste cose accadono nella tua vita, diventano uno stimolo … perché uscendo da quella situazione puoi davvero comunicare autenticamente con gli altri”.
Per approfondire:
su Chogyam Trungpa Rinpoche https://it.wikipedia.org/wiki/Ch%C3%B6gyam_Trungpa
su Gampo Abbey https://gampoabbey.org/
per i libri di Pema Chodron https://www.macrolibrarsi.it/autori/_pema_chodron.php?pn=3448&adw_kyw=&gclid=EAIaIQobChMIzcaHv-K19QIVmql3Ch2-CgetEAAYBCAAEgJlsPD_BwE
per un’anteprima del libro clicca qui
https://www.google.it/books/edition/Fallisci_fallisci_ancora_fallisci_meglio/XzTJDgAAQBAJ?hl=it&gbpv=1&printsec=frontcover
sulla Fondazione Pema Chodro https://pemachodronfoundation.org/
su Naropa University https://www.naropa.edu/the-naropa-difference/
© Annunziata Candida Fusco
Pema Chodron, sulle orme del suo maestro, ha continuato l’opera di adattamento della tradizione tibetana al mondo occidentale, rendendo il più possibile gli insegnamenti di questa antica tradizione praticabili nella vita di tutti i giorni. Ha scritto numerosi libri, per la maggior parte trascrizioni di suoi discorsi e insegnamenti che l’hanno vista in giro per il mondo. Tra i più significativi: Se il mondo ti crolla addosso e Senza via di scampo. Nel 2006 nasce la Pema Chodron Foundation per la conservazione e la continuazione dei suoi insegnamenti.
In queste brevi note vorrei soffermarmi su un libretto forse meno noto di Pema eppure molto nutriente: Fallisci, fallisci ancora, fallisci meglio. Saggi consigli per affidarsi all’ignoto, Edizioni Il punto d’incontro, prima edizione italiana 2016 (titolo originale Fail, fail again, fail better, prima ed. 2015). Il libro si compone di due brevi sezioni: la prima è il discorso tenuto da Pema nel 2014 in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi ai laureati alla Naropa University di Boulder, in Colorado, una università fondata, come si dice nel libro stesso, dal maestro di Pema, Chogyam Trungpa Rinpoche. Pema aveva promesso a sua nipote che avrebbe tenuto un discorso in occasione della sua laurea e infatti il libro contiene la dedica a sua nipote Alexandria. La seconda si intitola Sdraiarsi sui chiodi appuntiti ed è una intervista della giornalista Tami Simon a Pema, una conversazione sul fallimento appunto. La monaca ultraottuagenaria trova nell’invito a fallire meglio l’augurio più significativo che possa fare a giovani neolaureati proiettati verso un futuro ignoto.
La sfida più grande è capovolgere le coordinate ordinarie: tutti vogliono avere successo; siamo considerati di successo quando le cose vanno proprio nel modo in cui noi desideriamo. Quindi, fallire significa che le cose sono andate proprio nel modo in cui non volevamo. E allora? Come affrontare il fallimento? Come fallire? E poi, come arrivare a “fallire meglio”?
Quando la vita non va come avevamo programmato, quando le cose non girano come avremmo voluto, quando ci sentiamo schiacciati dai nostri insuccessi, quando sembra che non riusciamo a pilotare la nostra vita nella direzione che ci eravamo imposti come affrontiamo tutto ciò? “Normalmente ci sono due modi in cui noi affrontiamo una cosa del genere. Diamo la colpa a qualcuno o a qualcos’altro: il sistema, il nostro capo, il nostro compagno o qualsiasi altra cosa. Ci allontaniamo dal dolore, dalla sopportazione del dolore per la vulnerabilità del nostro cuore, incolpando qualcuno o qualcosa”. Inoltre, l’altra cosa che facciamo è sentirci un fallimento. “Abbiamo la sensazione che ci sia qualcosa di fondamentalmente sbagliato in noi”.
Come reagire a tutto ciò? “Uno dei modi per tirarsi su o per aiutarsi a reggere tutto ciò è iniziare a chiedersi cosa accade davvero quando c’è un fallimento”. L’esortazione è essere curiosi, chiedendosi cosa ci sta accadendo, dove sento le sensazioni dolorose e come posso trasformarle. “Diventare curiosi riguardo alle circostanze esteriori e a come vi influenzano, notando cosa rivelano le parole e qual è la vostra discussione interiore: questa è la chiave. Se ci sono molti sono repellente, sono terribile, notatelo in qualche modo e forse si attenuerà un po'. Ditevi piuttosto: cosa sto sentendo? Forse ciò che sta accadendo non è che sono un fallimento, sto solo soffrendo. Sto solo soffrendo”.
Insomma, come l’autrice spiega meglio nell’intervista a fine libro, piuttosto che avvolgerci nei sensi di colpa, nei pensieri che continuano a ripeterci che siamo un fallimento, proviamo a dire a noi stessi non sono un fallimento, non sono sbagliato/a, ma semplicemente ho sbagliato. Il mezzo è sviluppare l’attitudine a dirsi che non c’è niente di male in noi e dirsi che andiamo bene così, sdraiandoci sui chiodi appuntiti. Sdraiarsi sui chiodi appuntiti significa non andare via, ma andare verso. “La domanda non è come posso fare per uscire da questa realtà orrenda? Ma come posso andarle incontro?” E la risposta è che non esistono metodi da applicare, non esisto ricette preparate, ognuno riesce a trovare da sé la via d’uscita rimanendo a contatto con il dolore, le sensazioni allo stomaco o nel corpo, adagiandosi in esse per lasciarle andare. Mi pare davvero illuminante constatare come anche Pema riesca amorevolmente a indirizzare verso un cammino interiore senza fornire istruzioni per l’uso.
L’insegnamento del suo maestro è di non affidarsi a metodi da applicare meccanicamente. “L’unico metodo che avevamo, di fatto, era la meditazione da seduti shamatha-vipassana, la meditazione del respiro e la pratica tonglen. Ma non c’erano metodi per uscire gradualmente dalle sensazioni sgradevoli quando ci sentivamo male rispetto a noi stessi…; la gente ha la saggezza per risolvere le cose da sola, e quando ci si rende conto di avere trovato la soluzione da soli si conquista una grande fiducia in se stessi”. L’osservazione, la capacità di stare con il dolore del fallimento, riconoscendolo per poi lasciarlo andare sono mezzi utili sicuramente con i piccoli fallimenti, con i fallimenti più o meno ricorrenti della nostra vita quotidiana. Ma come darsi pace quando effettivamente sperimentiamo la consapevolezza di aver fatto davvero qualcosa di male, di aver davvero ferito qualcuno in maniera grave? La strada è la stessa: quando hai fatto qualcosa che veramente ha ferito qualcuno, quando hai provocato una sofferenza irrimediabile, il consiglio è lo stesso: rimani onesto con te stesso, riconosci il male che hai fatto e il dolore che hai provocato, riconosci che c’è rimorso dentro di te, fallo emergere. “Se lo riconosco, posso lasciarlo andare. Se non lo riconosco, non posso lasciarlo andare. Lascia che il rimorso perfori il tuo cuore allora potrai metterlo da parte e non portartelo dietro per il resto della vita”.
Può essere utile dire a noi stessi “ho fatto qualcosa di immorale”. Ecco, anche di fronte a tutto ciò, non scappare, ma restare presenti, sentire fino in fondo cosa si avverte ad aver sbagliato tutto, ad aver ferito qualcuno gravemente. Non fuggire in distrazioni, nell’alcool, nella televisione o nello shopping, ma provare a dedicare la propria vita, con le proprie azioni, alla persona che abbiamo ferito. Anche quando queste persone non ci sono più, facciamo azioni e dedichiamole a loro. “Tienili in mente e quando fai delle cose dì Vi dedico questo per il vostro benessere”. “Quindi quello che sto dicendo è: fallisci. Poi fallisci ancora, e poi forse comincerai a lavorare su alcune delle cose che sto dicendo. E quando accade di nuovo, quando le cose non funzionano, fallisci meglio. In altre parole, sei in grado di affrontare la sensazione di fallimento invece di nasconderla sotto il tappeto, accusando qualcun altro, inventandoti un’immagine di te negativa o altre strategie inutili di questo tipo. Fallire meglio vuol dire iniziare ad avere la capacità di sostenere ... la dolorosa vulnerabilità del tuo cuore, e a vederla come la tua connessione con altri esseri umani e come una parte della tua umanità. Fallire meglio significa che quando queste cose accadono nella tua vita, diventano uno stimolo … perché uscendo da quella situazione puoi davvero comunicare autenticamente con gli altri”.
Per approfondire:
su Chogyam Trungpa Rinpoche https://it.wikipedia.org/wiki/Ch%C3%B6gyam_Trungpa
su Gampo Abbey https://gampoabbey.org/
per i libri di Pema Chodron https://www.macrolibrarsi.it/autori/_pema_chodron.php?pn=3448&adw_kyw=&gclid=EAIaIQobChMIzcaHv-K19QIVmql3Ch2-CgetEAAYBCAAEgJlsPD_BwE
per un’anteprima del libro clicca qui
https://www.google.it/books/edition/Fallisci_fallisci_ancora_fallisci_meglio/XzTJDgAAQBAJ?hl=it&gbpv=1&printsec=frontcover
sulla Fondazione Pema Chodro https://pemachodronfoundation.org/
su Naropa University https://www.naropa.edu/the-naropa-difference/
© Annunziata Candida Fusco